Miliband: siamo noi gli ottimisti

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Di Massimo Mele il 29 Settembre 2010. Nessun commento

Dal quotidiano Europa, pubblichiamo il discorso pronunciato ieri da Ed Miliband alla conferenza di Manchester.

Ed Miliband

“Una nuova generazione è da oggi alla guida del Labour. È una generazione diversa: atteggiamenti diversi, idee diverse, modi diversi di fare politica. Voglio ringraziare tutti voi per il lavoro eroico svolto in campagna elettorale. Ma guardiamo in faccia la realtà. Abbiamo portato a casa un brutto risultato. Bruttissimo. Siamo fuori dal governo. E lasciatemelo dire, non c’è proprio nulla di buono nell’essere all’opposizione. Promettiamoci che questo governo durerà un solo mandato. Ma per far sì che accada dobbiamo imparare alcune lezioni dolorose su cosa è andato storto. Non dobbiamo incolpare l’elettorato per un governo che non ci piace, dobbiamo incolpare noi stessi. Dobbiamo comprendere perché la gente ha sentito di non poterci votare. Dobbiamo dimostrare che capiamo i problemi che la gente affronta oggi. Questo paese ha di fronte delle scelte difficili. Noi abbiamo di fronte scelte difficili. E dobbiamo cambiare. Eravamo instancabili e radicali – ricordate lo spirito del 1997 – ma alla fine del nostro periodo al potere abbiamo smarrito la bussola. La lezione più importante del New Labour è questa: ogni volta che abbiamo fatto progressi l’abbiamo fatto sfidando il senso comune. Pensate a come abbiamo enfatizzato l’importanza di essere duri col crimine e con le cause del crimine. Avevamo ragione. Pensate a come abbiamo ribaltato l’impressione di voler tassare per il gusto di farlo e di essere ostili alle imprese. Abbiamo fatto bene a cambiare. E la ragione per cui Tony e Gordon presero di mira il senso comune nel nostro partito fu perché poi potessero cambiare il paese. Erano riformisti, infaticabili e radicali. Secondo le vecchie teorie, l’efficienza economica veniva sempre a scapito della giustizia sociale. Con il salario minimo, gli sgravi fiscali, il New Deal, hanno dimostrato che non è vero. Secondo le vecchie teorie, i servizi pubblici erano destinati a essere di seconda classe. Ma noi le abbiamo smentite. Secondo le vecchie teorie non era possibile cambiare atteggiamento nei confronti dei gay e delle lesbiche. Dobbiamo essere orgogliosi perché il risultato del nostro impegno per l’uguaglianza è che oggi ci sono coppie che formano delle partnership civili e le celebrano con le loro famiglie e i loro amici. Tony e Gordon hanno avuto il coraggio di cambiare la Gran Bretagna. È stato quel coraggio che ci ha resi una forza politica di successo. Ma dobbiamo anche capire dove abbiamo sbagliato. Sono convinto che la Gran Bretagna sia più equa e più solida di tredici anni fa. Ma non possiamo non chiederci come ha potuto un partito forte di tanti successi perdere cinque milioni di voti tra il 1997 e il 2010. Non è successo per caso. La dura verità è che un partito che cominciò prendendo di mira il senso comune è diventato prigioniero delle sue stesse certezze. Mentre il mondo attorno a noi cambiava – dalla finanza globale all’immigrazione al terrorismo – il New Labour perdeva la capacità di adattarsi e trasformarsi, abilità su cui si fondava la sua forza politica. Col passare del tempo, abbiamo finito per somigliare sempre più a un nuovo establishment. Lasciate che mi rivolga al paese: avete visto la peggiore crisi finanziaria in una generazione e capisco la vostra rabbia nei confronti di un Labour che non ha fatto niente per cambiare l’assunto della City secondo cui la deregulation era la risposta. Volevate che le vostre preoccupazioni sull’impatto dell’immigrazione nelle nostre comunità fossero ascoltate, e capisco la vostra frustrazione per non averci sentito dalla vostra parte. E capisco anche che la promessa di una nuova politica fatta nel ’97 è finita per sembrare vuota dopo lo scandalo dei rimborsi dei parlamentari. Sono qui davanti a voi e voglio essere chiaro sul mio compito: fare di nuovo del Labour una forza che prende di mira il pensiero comune, non gli soccombe, parla per la maggioranza delle persone e disegna il baricentro della politica. Questa nuova generazione che guida il nostro partito è umile sul passato e idealista sul futuro. È una generazione che si batterà sempre per la maggioranza mainstream. Questa generazione vuole cambiare la nostra economia così che funzioni meglio per i lavoratori e non serva solo i bisogni dei pochi al top della scala sociale. Questa generazione vuole cambiare il modo in cui il governo funziona perché conosce il potere dello stato di cambiare le vite ma anche quanto possa essere frustrante se non è riformato. Questa generazione vuole cambiare la nostra politica estera così che sia fondata sui valori, non solo sulle alleanze. Man mano che veniamo fuori dalla crisi economica globale, abbiamo di fronte una scelta. Io credo fortemente che dobbiamo ridurre il deficit. Ci saranno tagli e ci sarebbero stati anche se fossimo stati noi al governo. Non mi opporrò a tutti i tagli proposti dalla coalizione. Lo dico perché la credibilità sul piano fiscale che ci siamo guadagnati prima del 1997 l’abbiamo sudata e dobbiamo riguadagnarcela entro le prossime elezioni. Ma come sono serio sulla riduzione del deficit, sono anche serio sulla necessità di farlo tenendo conto delle lezioni base dell’economia, della giustizia e della storia. Il vero patriottismo è ridurre il fardello di debito che passiamo ai nostri ragazzi. Ma, Mr Cameron, il vero patriottismo è anche costruire una economia e una società adatta a farci vivere e lavorare i nostri figli. Eri l’ottimista, un tempo, ma adesso tutto quello che offri è un punto di vista miserabile e pessimista su quello che possiamo ottenere. Abbiamo bisogno di un piano per cambiare. Un piano per riformare le banche, investire nelle industrie del futuro e sostenere le piccole imprese e gli imprenditori che possono essere la linfa vitale della nostra economia. La nuova generazione del mio partito capisce la fondamentale lezione del New Labour che dobbiamo costruire prosperità oltre che redistribuirla. Farò del Labour il partito dell’impresa e della piccola impresa. Il New Labour aveva ragione a essere entusiasta delle opportunità che vengono da un mondo più connesso ma questa nuova generazione riconosce che non abbiamo fatto abbastanza per rispondere alle preoccupazioni su alcune delle conseguenze della globalizzazione, compresa l’immigrazione. Tutti ne abbiamo sentito parlare. Come l’uomo che ho incontrato nella mia constituency il quale mi ha detto di aver visto i salari dei suoi amici abbassarsi come conseguenza dell’immigrazione. Se non capiamo perché quell’uomo è arrabbiato – e non c’entrano i pregiudizi – allora non riusciremo a servire coloro che dobbiamo rappresentare. Sono figlio di immigrati. Non penso affatto che dobbiamo tornare indietro sul libero movimento dei lavoratori in Europa. Ma non avremmo mai dovuto far finta che non avesse conseguenze. Conseguenze con cui avremmo dovuto misurarci. Dobbiamo sfidare il luogo comune secondo cui un mercato del lavoro flessibile è sempre la risposta. E, come riconosce qualunque paese democratico, è vitale che i lavoratori abbiano una voce che parla a loro nome. Sindacati responsabili sono parte di una società civilizzata. Ma tutti noi in questo movimento abbiamo una grande responsabilità. Dobbiamo convincere l’opinione pubblica della bontà della nostra causa e dobbiamo evitare a tutti i costi di alienarcene il consenso accrescendo l’elenco degli storici fallimenti dei sindacati. Ecco perché non ho nulla a che fare, e voi non dovreste avere nulla a che fare, con la pomposa retorica su una ondata di scioperi irresponsabili. Il pubblico non li sosterrà. Io non li sosterrò. E non dovreste farlo neanche voi. Ma non è solo da parte dei sindacati che voglio vedere responsabilità. Vogliamo vederla anche da parte delle imprese. Abbiamo bisogno di responsabilità anche in cima alla scala sociale. Il gap tra ricchi e poveri è importante. Non danneggia solo i poveri, ci danneggia tutti. Allo stesso tempo, siamo onesti, sappiamo che ci sono persone per cui il sistema di benefit è diventato una trappola. Riformarlo non ha nulla che vedere con lo stereotipare tutti i disoccupati, ha a che fare col trasformare le loro vite. Questa nuova generazione vuole anche sfidare il modo in cui si pensa allo stato e a quello che può ottenere. Credo profondamente che il governo debba fare la propria parte per creare una buona società. Ma la nostra nuova generazione sa anche che il governo stesso può trasformarsi in un potere forte che se non riformato, se non responsabile e dinamico, può intralciare la buona società. Anche in politica estera la nuova generazione deve sfidare il vecchio modo di pensare. Siamo la generazione che è diventata grande alla fine della Guerra fredda. La generazione a cui era stato insegnato che la fine della storia era arrivata e poi ha visto l’undici settembre frantumare quell’illusione. E siamo la generazione che riconosce che apparteniamo a una comunità globale: non possiamo isolarci dai problemi del mondo. Per questo in questo momento questo paese ha delle truppe impegnate in Afghanistan. Rappresentano il meglio del nostro paese. Ma così come sostengo la missione in Afghanistan come risposta necessaria al terrorismo, devo essere onesto sulle lezioni dell’Iraq. È stata una guerra che ha diviso il nostro partito e il nostro paese. Molti credevano sinceramente che il mondo avesse davanti una minaccia. Non critico quelli a cui è toccato prendere le decisione più difficili e rendo onore alle truppe che hanno combattutto e sono morte lì. Ma credo che avevamo torto. Quanto alla nostra alleanza con l’America, è incredibilmente importante, ma dobbiamo sempre ricordarci che sono i nostri valori a dover modellare le alleanze che formiamo e qualsiasi azione militare decidiamo di intraprendere. Per ottenere tutte queste cose – un’economia e una società diversa e una riforma dello stato – dobbiamo cambiare anche la nostra politica. La gente ha perso fiducia nei politici e nella politica. La politica è a pezzi. Il modo in cui si fa, la sua reputazione e le sue istituzioni. Anch’io che ci sono dentro a volte la trovo deprimente. Questa generazione ha la possibilità – e l’enorme responsabilità – di cambiare la nostra politica. Dobbiamo riformare la House of Commons e io sono favorevole a cambiare il sistema elettorale e, certo, dobbiamo finalmente rendere elettivo anche l’ingresso nella House of Lords. Ma siamo onesti, cambiare le nostre istituzioni non sarà sufficiente a renderle nuovamente degne di fiducia. Alla fine, sono i politici che devono cambiare. Questa generazione deve respingere i vecchi modi di fare politica. E deve parlare dei temi che la nostra generazione sa di dover affrontare. I focus group ci diranno che non si prendono voti parlando di tematiche ambientali. Forse no. Ma fare i difficili e necessari passi per proteggere il nostro pianeta per le generazioni future è la più grande sfida di questa generazione. Non possiamo cadere ostaggi dei focus group. La politica deve avere a che vedere con la leadership o non significa nulla. Assaporo la possibilità di confrontarmi con David Cameron. Anche se siamo quasi coetanei, nei miei valori e nelle mie idee appartengo a una generazione nuova e diversa. La nuova generazione non si definisce solo per l’età, ma per atteggiamenti e ideali. E c’è una differenza fondamentale tra noi e David Cameron… ed è l’ottimismo. Noi siamo gli ottimisti in politica. Diffondiamo allora questo messaggio: una nuova generazione ha preso la guida del Labour. Ottimista sul nostro paese. Ottimista sul nostro mondo. Ottimista sul potere della politica. Siamo noi gli ottimisti e insieme cambieremo la Gran Bretagna”. Ed Miliband
(29/09/2010)

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