Sudafrica: stupro correttivo delle lesbiche, un’altra vittima

Home » News » Sudafrica: stupro correttivo delle lesbiche, un’altra vittima

Di Massimo Mele il 7 Maggio 2011. Nessun commento

JOHANNESBURG – A 13 anni è stata violentata per essere ‘rieducata’ in quanto lesbica: e’ accaduto giovedi in una township di Pretoria, in Sudafrica, nonostante il Paese sia il piu’ avanzato in tema di diritti sessuali in tutto il continente africano. Ma le violenze contro i “diversi” restano comunque molto diffuse, compreso il cosiddetto “stupro correttivo”. Il portavoce del ministero, Tlali Tlali, ha condannato l’episodio e ribadito che “i diritti di gay e lesbiche devono essere protetti”.

Alla fine di Gennaio, lo stupro correttivo per le lesbiche balzò all’attenzione della grande stampa internazionale con il caso di Millicent Gaika: legata, strangolata, torturata e stuprata per cinque ore di seguito da un uomo che sosteneva di “curarla” dalla sua omosessualità. Nonostante la patria di Madiba sia stato il primo paese ad aver dichiarato fuorilegge nella sua Costituzione la discriminazione su base sessuale, solo a Città del Capo l’organizzazione locale Luleki Sizwe ha registrato più di uno “stupro correttivo” al giorno, e l’impunità su questa vile pratica regna ancora sovrana.
Millicent sopravvisse per miracolo, ma non è l’unica visto che per il People Opposed to Women Abuse “una ragazza che nasce in Sud Africa oggi ha più possibilità di essere stuprata che d’imparare a leggere […] e un quarto delle ragazze in Sud Africa è stuprato ancor prima di compiere 16 anni”.

Solo a Città del Capo la piccola organizzazione locale Luleki Sizwe ha registrato più di uno “stupro correttivo” al giorno. “I crimini contro l’orientamento sessuale non sono riconosciuti dal diritto del nostro paese – spiega la direttrice di Luleki Sizwe Ndumie Funda – soli negli ultimi 10 anni 31 donne lesbiche sono state uccise a causa del loro orientamento sessuale, più di 10 lesbiche in settimana sono violentate nella sola Città del Capo, mentre 150 donne sono violentate ogni giorno in tutto il Sud Africa”. E cosa succede? “Poco o niente, visto che su 25 uomini accusati di stupro 24 sono liberi” conclude Funda.

Lo stupro correttivo perpetrato talvolta anche da membri della famiglia o amici della vittima si basa su un’opinione falsa e oltraggiosa per cui una donna lesbica se stuprata può diventare eterosessuale quasi fosse curata da un virus o una malattia. “Tuttavia – si legge sul blog di Luleki Sizwe – questo crimine efferato non è neppure classificato come crimine d’odio in Sud Africa”. Le vittime sono spesso di colore, povere, lesbiche ed emarginate e neppure lo stupro e l’omicidio di Eudy Simelane nel 2008, l’eroina nazionale e campionessa della squadra di calcio femminile del Sud Africa, ha cambiato la situazione.

Una battaglia culturale quindi, oltre che contro la povertà e l’omofobia, che richiede azioni decise e concertate per un processo di cambiamento in Sud Africa e in tutto il continente africano. “ll Presidente Zuma è un tradizionalista Zulu, e lui stesso è stato processato per stupro – ricorda Avaaz – Ma lo scorso anno ha condannato l’arresto di una coppia gay in Malawi e dopo una pressione a livello nazionale e internazionale enorme, il Sud Africa ha finalmente approvato la risoluzione ONU contro l’omicidio extra-giudiziale delle persone in base al loro orientamento sessuale”.

“Se oggi riusciamo ad amplificare e far crescere esponenzialmente questa campagna – spiegano gli attivisti di Avaaz – potremo aiutare a mettere fine allo stupro correttivo. Per questo chiediamo al Presidente Zuma e al Ministro della giustizia di condannare pubblicamente lo stupro correttivo, penalizzare i crimini d’odio e guidare un cambiamento radicale contro lo stupro e l’omofobia per garantire l’educazione pubblica e la protezione delle vittime”.

Così davanti a questa emergenza umana Luleki Sizwe e gli alleati nella campagna internazionale di Change.org e Avaaz hanno aperto una piccola finestra di speranza in questa battaglia che si fa largo anche tra il popolo del Sud Africa. “Mandela ha detto la mia strada è lunga: lo dico anch’io – dichiara Funda presidente di quella Luleki Sizwe che prende il nome dalla sua ex compagna Nosizwe Nomsa Bizana e dalla sua amica Luleka Makiwane, stuprate dal branco e poi morte l’una di meningite e l’altra di Aids – Mi batterò fino a che avrò fiato in corpo”. Ad oggi Funda può contare anche su quello dei 614 mila firmatari della petizione internazionale.

Fonte Ansa e Uniomondo.org

Pubblica un commento