Scontri di Roma, parla la studentessa di Orani: “Derisi e picchiati: un incubo”

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Di Massimo Mele il 17 Dicembre 2010. Nessun commento

Arresto convalidato per resistenza a pubblico ufficiale e una settimana di cure, per le botte prese. Sono i tre giorni di rabbia e paura, passati tra il pronto soccorso e le celle di tre diversi commissariati, raccontati da Alice Niffoi, la studentessa di 23 anni di Orani arrestata nei disordini di Roma e liberata ieri assieme ad altri 22 fermati

NUORO. Arresto convalidato, per resistenza a pubblico ufficiale. Sette giorni di cure, per le botte prese. Tre giorni di rabbia e paura, passati (senza una scarpa) tra il pronto soccorso e le celle di tre diversi commissariati. Tra insulti, minacce, troppa adrenalina che ancora scorreva nelle vene di alcuni degli agenti che la controllavano. E che invece era andata via del tutto da quelle di Alice Niffoi, 23 anni, di Orani. Studentessa di Scienze politiche alla Sapienza.

Una delle due ragazze del gruppo dei 26 arrestati dopo gli scontri di piazza a Roma.
«Scontri di massa» sottolinea lei, appena uscita, ieri pomeriggio, dal tribunale. Dando ragione a quanti nel movimento non vogliono sentire parlare di black bloc e manifestazione sotto scacco dei violenti.

«Io non ho tirato san pietrini e solo oggi (ieri ndr) ho sentito delle auto incendiate. Non sono d’accordo. Ma in piazza è andata la rabbia di una generazione. Che voleva arrivare a Montecitorio a impedire che ci rubassero il futuro». Uno scontro inevitabile insomma. Anche perché: «Siamo un movimento senza leader, avevamo preparato tutto in assemblea, ma alla fine i programmi sono stati superati dai fatti».

Nessun rammarico dunque per non aver predisposto un servizio d’ordine all’altezza che «difendesse» la manifestazione. Nessun contatto con «i proletari in divisa» di pasoliniana memoria. «Ci hanno maltrattato, deriso, insultato. Per giorni. Ci hanno fatto paura. Ma torneremo in piazza. Più arrabbiati di prima».

Il racconto di Alice è crudo, e richiama alla memoria i terribili giorni di Genova 2001. Nessuna Bolzaneto ma adrenalina a fiumi negli agenti, e tre giorni da dimenticare.

«Ero in testa al corteo in via del Corso – spiega Alice – anche se non era più chiaro dove fosse la testa e la coda. Da un po’ la polizia caricava. E noi eravamo girati per cercare di spiegare ai ragazzi di non arretrare troppo velocemente. Ci stavamo schiacciando l’un l’altro. Mi è arrivata una manganellata alla nuca. Sono caduta. Mi hanno trascinato per un braccio. Mi sono accovacciata in terra mentre continuavano i colpi. Ho sentito una voce “ora basta”. Ci hanno caricato su un cellulare. E ci hanno portato al commissariato di Trevi. Durante il viaggio ci hanno detto se ricordavamo Bolzaneto (la palestra di Genova sede di brutali maltrattamenti dei fermati nel 2001 ndr). Abbiamo iniziato ad avere paura».

Per fortuna non succede niente di simile. Anche se le identificazioni sono lentissime. Molti ragazzi (e poliziotti) sono feriti e non vengono curati. E in commissariato volano insulti e minacce. «Non potevamo chiedere niente – racconta Alice – altrimenti venivamo aggrediti. Io ero senza una scarpa. Sono rimasta così fino a oggi. E avevo una brutta bozza in testa e un polso e una caviglia slogati. Altri erano messi peggio di me».

Verso le dieci di sera arriva il 118. E, lentamente, inizia a portare i ragazzi all’ospedale San Giovanni. «Ci hanno controllato. Ma non medicato. Nemmeno del ghiaccio». Poi, verso le due di notte, l’ennesimo trasferimento. Nel distaccamento della questura di Tor Cervara. Un mega centro identificazioni alla periferia di Roma. Dove normalmente vengono portati i clandestini.

«Ci hanno chiusi tutti insieme in uno stanzone di un seminterrato. Con una parete di vetro da cui ci controllavano. E tutte le finestre aperte. Eravamo 18, 2 ragazze. Non potevamo chiedere niente. Pena minacce e insulti. E per quattordici ore non abbiamo mangiato, bevuto. Non siamo andati in bagno. Quando abbiamo chiesto di chiudere le finestre perché si gelava ci hanno detto a muso duro di stare zitti».

Alla fine, l’indomani, il cibo arriva. E, alle otto di sera, anche l’ultimo trasferimento. Al commissariato di San Lorenzo. «Mi hanno dato del ghiaccio per la ferita – racconta Alice – mi hanno trattato in maniera normale. Hanno detto alla mia famiglia e al mio avvocato dove ero. Nessuno prima lo sapeva». Poi il processo, arresto convalidato (e contestato dall’avvocato Federica Falconi) per resistenza aggravata. «Mi volevano spaventare – racconta Alice – non ci sono riusciti. Non ci fermeranno».

Da La Nuova Sardegna

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