Sardegna senza identità: dall’orgoglio all’orgia del potere

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Di Massimo Mele il 27 Agosto 2011. Nessun commento

“C’è troppa Sardegna nella vita politica italiana, e chiedo scusa se lo dico alle famiglie sarde che non hanno alcuna colpa…”: è la battuta a cui Giuliano Amato ricorre al Meeting di Rimini, per puntare il dito sul ‘velinismo” e sul “trionfo dell’individualismo immemore”.

“Quando il massimo obiettivo della vita – spiega – è che tua figlia sia invitata su uno yacht a Porto Rotondo o diventi una velina, o vedi che un padre è orgoglioso perché la figlia di 16 anni ha vinto il concorso per ‘miss lato B’ resti sconcertato…. Insomma, ci sono delle responsabilità, troppa Sardegna nella vita politica italiana”.
“La metafora sulla Sardegna utilizzata dal professor Amato è una gaffe, che non è accettabile e che non può non essere rettificata da un uomo di cultura come lui”. Così il governatore sardo Ugo Cappellacci.
“La leggerezza e la superficialità con cui Giuliano Amato ha offeso la Sardegna e il suo popolo suscitano sdegno e sconcerto profondi”. Così la presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo.
“Giuliano Amato ha sbagliato a citare la Sardegna per parlare di quella di plastica che per anni ha ruotato intorno alla villa del premier Berlusconi in Costa Smeralda come alle sue tv, ma sono lacrime di coccodrillo quelle della Giunta”. Questo il commento del segretario regionale del Pd, Silvio Lai.
Ma, quasi a difesa del senso profondo delle parole di Amato, ecco un lungo articolo di Marcello Fois sulla Nuova Sardegna, che riflette sulla realtà che le parole dell’ex capo del Governo hanno messo a nudo. Una realtà che investe tutti/e noi sardi/e e la miseria socio culturale nella quale siamo piombati.

Sapete che vi dico? A me la frase infelice di Giuliano Amato non ha offeso, ma preoccupato. Perché quando anche una persona profonda e intelligente come l’ex Presidente del Consiglio non riesce a fare la differenza tra il particolare e il tutto vuol dire che quel tutto è completamente invisibile, sparito. Da quando la Sardegna è sparita con lei sono spariti anche i sardi. Del resto Ugo Cappellacci questa sparizione l’aveva preconizzata come programma di lavoro non appena eletto alla carica di Governatore dell’isola che c’era stata e doveva non esserci più. Hanno ragione a pensare che siamo quello che ci rappresenta: veline brune; Briatori che calano dall’alto; Certose con vulcani posticci come i capelli del Padrone; olgettine, tante sarde, d’alto bordo. Sono dati incontrovertibili. Come un dato incontrovertibile è che prima di questa deprimente stagione ciò che ci rappresentava era altro, solo tre anni fa eravamo la regione che aveva detto no proprio a quel modello dentro il quale, per insipienza, per malafede, ci siamo riinfilati democraticamente eleggendo un prestanome di Silvio Berlusconi al ruolo di Governatore.

Ugo Cappellacci ha il diritto di stare dove sta. Ha il diritto di esercitare le funzioni per le quali è stato scelto: svuotare la Sardegna. E noi ci meritiamo che continui a «governare», che continui a privare di senso questa Regione. Questo mi offende profondamente: che siano riusciti a vanificare tutto quanto di straordinario, sotto traccia, fuori dalle loro grinfie, sta succedendo anche oggi in nella nostra Regione. Si ha un bel dire che ci sono scrittori, intellettuali, artisti, manifestazioni. Tutto ciò che non è costasmeraldizzato semplicemente non è più sardo. Questo film l’avevamo già visto quando anche a un direttore di banca si chiedeva se fosse un sequestratore, bastava essere sardo che si diventava rapitore, qualunque cosa facessi. Ora basta essere sardo per essere un escort, un guitto, un politico imbelle, un povero deficiente turista di se stesso che aspetta che la scosciata di turno scenda da uno yacht col cellulare pronto nella funzione fotocamera.

Chi è che ci ha ridotti in questo modo? Chi ci ha de-pensato? Privati di senso? Chi ha lasciato che questi paradossali politici locali riuscissero nel progetto, pensato ad Arcore, di eliminazione morale e fisica di una Regione resistente? Noi. Chi ha regalato la bandiera quattro mori al Principe? Chi ha invocato l’assistenza anziché l’autodeterminazione? Chi ha accettato la politica del tutto e subito, contro la fatica di una visione del futuro? Noi. Perché quando si entra in quella cabina che si chiama elettorale, noi stiamo compiendo un’azione che ha delle conseguenze e non c’è dubbio che noi sardi abbiamo scelto chi ci sta governando, e non c’è dubbio che chi ci sta governando sta solo compiendo quanto era scritto che succedesse: punire un territorio che aveva alzato la cresta, ma che non credeva abbastanza in se stesso.

Fra le variegate affermazioni del Presidente Emerito Cossiga mi ha sempre colpito la sua profezia che saremo diventati il canile di Berlusconi, un canile, aggiunse, in cui tutti i guardiani sono sardi. Se siamo talmente deboli da pensare che l’offesa ci arrivi da Giuliano Amato perdiamo un’occasione preziosa, perché tra le maglie di questa debolezza vacilla qualunque significato. E dentro a questo vacillare anche chi dovrebbe rappresentare un’eccezione finisce per trovarsi esattamente dentro il territorio estremo della lotta tra poveri, scrittore, regista, musicista che sia. Ed è per questo che di questi scrittori, musicisti, intellettuali, artisti se ne parla poco o troppo, ma quasi mai come normalità, sempre come eccezioni. In compenso chi dovrebbe marcare la differenza con scelte precise di autodeterminazione politica, economica, sociale, procede nel fluido magmatico delle alleanze e delle satrapie locali. Senza un’idea se non quella di servire il Principe, o, quando il Principato scricchiola, di arraffare tutto quello che si può prima della fine. Ecco mi pare che questa prospettiva faccia apparire la sciocca affermazione di Amato davvero poca cosa. Certo che Cappellacci, La Spisa, Lombardo, si sono particolarmente inquietati: quando qualcuno dalla folla urla che il re è nudo, i cortigiani cominciano a tremare.

Fonte Unione Sarda e La Nuova Sardegna

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