Obama: stessi diritti per i nostri fratelli e le nostre sorelle gay

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Di Massimo Mele il 22 Gennaio 2013. Nessun commento

«Il nostro viaggio non sarà finito sino a quando i nostri fratelli e le nostre sorelle gay non saranno trattati come gli altri davanti alla legge. Dobbiamo fare in modo che queste parole, questi diritti, questi valori, di libertà e uguaglianza divengano realtà per ogni americano. È questo il compito della nostra generazione». Con queste parole Barack Obama ha sdoganato ieri la “questione omosessuale”, pronunciando, per la prima volta nella storia, la parola “gay” in un discorso solenne dell’Inauguration Day.
Davanti a più di 800 mila persone sparse nel National Mall di Washington, Obama ha ricordato la famosa rivolta di Stonewall, da cui nacque la giornata dell’orgoglio omosessuale, accanto al congresso delle suffragette di Seneca Falls del 1848 e l’eccidio di Selma, in Alabama, contro i manifestanti neri, nel 1965. Insomma, ha assegnato un valore storico alla battaglia degli omosessuali per i loro diritti, a fianco alla lotta per l’emancipazione delle donne e quella contro la segregazione razziale della minoranza afroamericana. “Se siamo stati creati tutti uguali allora anche l’amore con cui ci impegniamo verso l’altro deve essere lo stesso” ha proseguito, con esplicito riferimento al matrimonio omosessuale promesso in campagna elettorale.
E’ un intervento deciso, chiaro, appassionato. Per farlo Obama cita Lincoln, il Presidente che liberò l’America dalla schiavitù e che difese il Governo «del popolo, che viene dal popolo e agisce per il popolo». Per questo comincia ogni frase con “We, the people” (Noi, il popolo): «Il nostro viaggio non sarà finito sino a quando i nostri fratelli e le nostre sorelle gay non saranno trattati come gli altri davanti alla legge, sino a quando non troveremo un modo più intelligente per aiutare gli immigrati che ancora vedono nell’America una terra di opportunità, sino a che i nostri bambini, dalle strade di Detroit ai tranquilli viali di Newtown, non sapranno che abbiamo cura di loro e che sono al sicuro da ogni pericolo». Quasi una parafrasi del celebre “I have a dream speech”, pronunciato non lontano da qui, sui gradini del Lincoln Memorial, da Martin Luther King, il lontano 28 agosto del 1963. E di cui proprio ieri tutta l’America festeggiava la memoria.
Con le sue parole, Obama ha ripreso i temi della sua campagna elettorale, vittoriosa (anche) grazie al massiccio appoggio dei neri, dei latinos, delle donne e dei gay. La composizione delle nuove camere, mai così “rosa”, in cui siedono diversi parlamentari apertamente omosessuali ha già rispecchiato questa svolta. Perfino la cerimonia di ieri ha mostrato concretamente il cambiamento: il vicepresidente Biden ha giurato di fronte a Sonia Sotomayor, la prima donna latina nominata da Obama giudice della Corte Suprema. E il privilegio di leggere una poesia composta “ad hoc” per l’occasione è stato affidato a Richard Blanco, un poeta che con la sua presenza ha infranto tante barriere: è il più giovane (appena 44 anni), il primo latino e il primo apertamente gay a dedicare una sua composizione a un presidente.

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