L’inutile ossessione dei gay nel calcio

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Di Massimo Mele il 8 Ottobre 2010. Nessun commento

Articolo di J1987news.com

Il tema dell’omosessualità nel mondo del calcio non è stato mai in voga come in questo ultimo periodo. Sarà a causa  del coming out di un numero sempre maggiore di personaggi del mondo dello spettacolo, ultimo quello di Tiziano ferro, ma sembra che si sia creata una spasmodica attesa verso l’annuncio del primo calciatore gay.

Non sorprende dunque se anche nella conferenza stampa odierna di Cesare Prandelli si sia affrontato questo argomento, nonostante nulla avesse a che fare con il prossimo incontro dell’Italia contro l’Irlanda del Nord. I commenti di Prandelli, che dimostrano una certa apertura di vedute sull’argomento, fanno breccia in un mondo che si è sempre trincerato in un improbabile negazionismo. “I gay nel calcio non esistono” si è sentito da più parti. Una frase che, oltre ad essere in contrasto con i racconti, altrettanto ipocriti, di personaggi omosessuali sulle loro relazioni amorose con giocatori professionisti, sfida le leggi della statistica. Se ipotizziamo per serie A e B una media di 20 giocatori per rosa, è impensabile che su un totale di 840 calciatori non ve ne sia nemmeno uno omosessuale.

La presenza di gay nel calcio è dunque ben oltre una mera probabilità. Ma il punto è un altro. E’ necessario che in calciatore debba fare coming out? E cosa accadrebbe qualora un professionista dichiarasse la propria omosessualità? Per rispondere alla prima domanda occorre interrogarsi su cosa noi tifosi pretendiamo da un nostro campione, al quale indirettamente contribuiamo a pagare lo stipendio. Ci aspettiamo  soltanto che si comporti da professionista, oppure pretendiamo che si mostri con trasparenza anche nella propria vita privata? A mio avviso i doveri di un calciatore devono essere limitati all’attività sportiva, e possono riguardare l’aspetto privato solo in relazione ad eventuali comportamenti che ne pregiudichino il miglior rendimento. E tra questi non rientrano i gusti sessuali.

Puntare dunque il dito contro giocatori che vivono nell’ombra la propria omosessualità, equivale ad un’intromissione scorretta in una sfera che nulla ha a che fare con il mondo del calcio. Rispetto dunque per chi in futuro uscisse allo scoperto, ma altrettanta comprensione verso chi non vuole rendere pubblico il proprio orientamento. Ecco perché suonano come insopportabili le battutine e i racconti anonimi che si sono sentiti in queste giorni, dove persone con poca dignità si divertono a spargere indizi sui possibili gay della serie A.

Anche perché, e qui veniamo al secondo punto, la vita di un giocatore che facesse il famigerato coming out  sarebbe tutt’altro che semplice. La sensazione è che si troverebbe ad affrontare un clima d’inferno negli stadi italiani, dove gli episodi di razzismo non sono rari. E’ facile immaginare come verrebbe accolto dalle tifoserie avversarie e non è nemmeno detto che venga accettato di buon grado dai propri tifosi. Ed inoltre anche la convivenza con i compagni di spogliatoio potrebbe risultare complicata, specie in un ambiente fortemente cameratesco come quello del calcio.

Sarebbe dunque ora che si ponga un confine chiaro tra vita sportiva e vita privata. Ben venga  il calciatore che decidesse di esporsi, ma fino ad allora si parli di calcio e non di gusti sessuali dei calciatori. Non c’è proprio bisogno di creare un’inutile ossessione che nulla ha a che fare con lo sport che tutti amiamo.

Pietro Zaccarella

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