Lesbiche e gay in Tunisia: fra forzata ipocrisia e amara disillusione

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Di Massimo Mele il 23 Novembre 2011. Nessun commento

In quasi tutti i paesi musulmani non solo l’omosessualità è considerata un peccato, ma viene persino punita dalla legge. In Iran, Arabia Saudita, Mauritania, Sudan e Yemen viene applicata la pena di morte, secondo l’interpretazione più tradizionalista e conservatrice di alcuni versetti del Corano e di hadith del Profeta. Solo in Libano è in corso un processo per depenalizzare il reato.

In Tunisia per l’atto di sodomia fra adulti consenzienti (non solo dello stesso sesso, quindi) è prevista una multa ed una condanna detentiva fino a tre anni, anche se si tratta probabilmente, dopo il Libano, del paese musulmano dove finora vi è stata più indulgenza verso gay e lesbiche, pur tra mille contraddizioni. Non esiste di fatto alcuna legge che punisca il lesbismo. Il 22 dicembre 1993 la Corte d’appello di Tunisi ha rigettato la richiesta di un transessuale di cambiare il proprio stato da “uomo” a “donna”.

La sentenza dichiarava che il suo cambiamento di sesso era un’operazione volontaria e artificiale che non poteva giustificare un cambiamento del suo stato. Inoltre, tra il 1996 e il 1997, a un gay tunisino è stato riconosciuto il diritto all’asilo per ragioni umanitarie negli Stati Uniti. Nel 2002 la Tunisia ha votato contro la concessione dello status consultativo presso il Consiglio Economico e Sociale dell’ONU all’ILGA (International Lesbian and Gay Association).

Al centro dell’interpretazione dell’omosessualità come peccato vi è la vicenda di Sodoma e Gomorra che ne dimostrerebbe la condanna da parte della divinità, condanna che vale per tutte e tre le religioni del Libro. La trasformazione del peccato in reato, per i paesi musulmani, è naturalmente legata all’ispirazione che la giurisprudenza (fiqh) ha tratto dalla sha’ria. Ma così come nella teologia cristiana vi sono moderne correnti di rilettura del passaggio biblico in questione, così dal mondo islamico, anche se con ritardo e ancora con poco approfondimento, si levano voci di dissenso che interpretano diversamente il motivo per cui Dio punisce con “una pioggia di pietre d’argilla ardenti” (Sura XI, Hud, 82) gli abitanti delle sunnominate città.

L’interpretazione anticonformista più conosciuta (Olfa Yussef e Amina Wadid) è quella che identifica la colpa dei sodomiti nella volontà di violentare i tre angeli inviati da Dio e ospitati da Lot: quindi, il problema non sarebbe il sesso dei partecipanti al rapporto voluto dai sodomiti, ma la violenza del rapporto stesso. Nella Sura VII, ai versetti 80-81 si legge: “Vorreste commettere un abominio tale che nessuna creatura ha mai commesso prima di voi? Ecco, vi accostate con lussuria agli uomini invece che alle donne. No, siete un popolo di trasgressori”.

Un ulteriore accredito alle interpretazioni succitate, sarebbe proprio questo versetto del Corano dove si cita “un abominio mai commesso prima”, ragionevolmente si può pensare che non si stia parlando di rapporti omosessuali che evidentemente erano già presenti nei costumi di quelle popolazioni, ma di stupro. La punizione di Sodoma, in altre parole, sarebbe di monito contro lo stupro e non contro l’omosessualità. Inoltre, Dio punisce anche la moglie di Lot perché non ha obbedito al comando di non girarsi indietro (secondo il Corano, uccidendola sotto la stessa pioggia di pietre d’argilla roventi). Da ciò si può dedurre che il peccato supremo sarebbe la disobbedienza a Dio ed è questa che verrebbe dunque sanzionata.

Questa lettura può donare consolazione a tutti gli omosessuali credenti. Ma non li libera dal senso di soffocamento e di oppressione che condividono con gli altri omosessuali non credenti nelle società musulmane. Eppure, nelle cultura araba in generale non è stato sempre così se si va a ritroso nel tempo:

Abu Nawas (757 circa-815), considerato come uno dei maggiori poeti di lingua araba, celebrava amori omosessuali in maniera provocatoria e dichiarava: “L’uomo è un continente. La donna, il mare. Io preferisco la terra ferma”. Lo scrittore Al-Jahiz (IX sec. dopo Cristo), in “Kitah al-Ghilman” (epistola dei ragazzi) scrive invece, una sorta di apologia delle relazioni amorose tra maschi. In Egitto sono stati ritrovati bassorilievi di origine medioevale dove vengono riprodotti in maniera esplicita rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso. Ciò non può che confermarci come questo velo di proibizionismo da cui è circondata la vita di gay e lesbiche sia una pratica recente.

E in particolare, come è la vita delle lesbiche e dei gay in Tunisia oggi? Cosa ha loro portato la rivoluzione e il processo democratico in corso nel paese? Il partito islamico di Ennahda ha conquistato oltre il 40% dei seggi alla Costituente. Ciò sicuramente ha messo in agitazione la parte laica e progressista del paese che teme, a torto o a ragione, una scrittura della nuova costituzione ispirata alla sha’ria o comunque a principi conservatori o regressivi.

Del resto, dopo le dichiarazioni iniziali di totale rispetto dei principi di democrazia e libertà, Hamadi Jebali, segretario politico del partito islamico e probabile futuro Primo Ministro, in questi giorni ha compiuto un clamoroso passo falso che per la sinistra tunisina non fa altro che confermare il famoso “doppio linguaggio” caratteristico di Ennahdha: durante un meeting a Sousse ha dichiarato che la Tunisia si avvia verso il 6°califfato. In seguito, ha corretto il tiro, affermando che la frase era stata utilizzata fuori contesto.

Ora, fra chi teme maggiormente un cambiamento in senso involutivo della propria condizione che già negli ultimi anni è andata sensibilmente peggiorando, c’è proprio la comunità omosessuale. Ho avuto la fortuna e il piacere di approfondire l’argomento con alcune lesbiche di Tunisi che vivono con apprensione questa fase politica. Dopo la grande speranza suscitata dalle giornate del gennaio 2011, le giornate della rivoluzione della libertà e della dignità, dopo la grande emozione del primo voto democratico nella storia del paese, ora vedono affievolirsi le possibilità di vivere apertamente e con dignità la loro differenza.

Negli anni ’60 e ’70, una certa egemonia culturale delle élites intellettuali tunisine aveva creato un clima, se non di completa accettazione, sicuramente di convivenza pacifica fra etero e gay. Nelle famiglie tunisine in quegli anni il maschio gay era coccolato e viziato (come il “femminiello” a Napoli), viveva nell’ambiente delle donne e la sua scelta sessuale non veniva considerata come un fatto particolarmente trasgressivo. Nelle grandi famiglie della medina araba (chiamate “tunisois”) l’adulto omosessuale era identificabile per il suo abbigliamento: abito europeo o djebba, bianchi, baffi molto curati e rivolti all’insù. Nelle famiglie più modeste il giovane gay si dedicava alle faccende domestiche, senza che ciò provocasse disprezzo negli altri uomini. Il caffè di Paris sull’Avenue Bourghiba era fra i luoghi più frequentati dagli omosessuali maschi.

Fonte agoravox.it

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