Il percorso dell’America verso il matrimonio gay

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Di Massimo Mele il 26 Febbraio 2011. Nessun commento

L’uguaglianza degli omosessuali statunitensi non è più un’utopia

La decisione del Dipartimento di Giustizia dell’Amministrazione Obama di non difendere più il Defense of Marriage Act è un ulteriore passo in avanti per il riconoscimento dell’uguaglianza degli omosessuali di fronte alla legge. In pochi anni la politica americana ha subito una trasformazione impensabile su questo argomento, da molti considerato perdente per chi lo sosteneva. Nel 2004 Karl Rove archittettò i referendum anti matrimoni gay per mobilitare la base religiosa a sostegno di Bush, dopo che una Corte del Massachusetts aveva legalizzato per la prima volta l’unione di fronte alle legge delle coppie omosessuali. In pochi anni tutto è cambiato, ad una velocità superiore anche alle più rosee aspettative della comunità LGBT.

UNA MAGGIORANZA IN CRESCITA – Nelle presidenziali 2008 l’uguaglianza degli omosessuali era rimasta sullo sfondo in campagna elettorale. I repubblicani si dichiaravano contrari ai matrimoni gay come hanno sempre fatto, ma lo stesso Obama era tiepido. La fine della discriminazione degli omosessuali nell’esercito, con l’abrogazione del Don’t Ask, Don’t Tell, era popolare, ma il matrimonio rimaneva un tema spinoso, capace di dividere la base democratica. Il partito di Obama è votato prevalentemente dai progressisti, di gran lunga la fascia d’elettorato più favorevole al riconoscimento dei diritti per la comunità LGBT, e dalle minoranze etniche. Tra gli afro-americani e gli ispanici la cultura religiosa ed il machismo sono molto diffusi, e un’equiparazione delle coppie omo a quelle etero era vista all’interno di questi gruppi etnici in maniera molto diversa che tra i liberal. La trionfale elezione di Obama avvenne in contemporanea alla sconfitta in California del referendum che voleva riconoscere l’uguaglianza delle coppie gay in Costituzione. L’exit poll della Cnn chiariva come proprio la base democratica si era assolutamente spaccata sul tema. Una lezione imparata dal presidente, che è stato timido nell’agire nell’ambito dei diritti gay, anche alla luce di una difficile crisi economica da gestire. Nei sondaggi d’opinione però la situazione è drasticamente cambiata in pochissimi anni. Nel 2004, poco più del 20% del campione si dichiarava in media favorevole ai matrimoni gay, mentre ora si sfiora normalmente il 40%. La percentuale delle persone contrarie sia ai matrimoni che alle unioni civili è invece diminuita nel tempo, ed è sostanzialmente equivalente ad un terzo dell’elettorato, che corrisponde grosso modo alla base conservatrice dei repubblicani, più gli i democratici più religiosi. Una rapida e repentina svolta nell’opinione pubblica dettata in primo luogo dal rinnovamento generazionale. Tra chi ha meno di 50 anni è presente una maggioranza di favorevoli ai matrimoni gay, che diventa molto netta quando si passa agli under 35.

SITUAZIONE LEGALE – Gli Usa hanno un ordinamento federale, e la competenza sui matrimoni, materia tipica del diritto civile, appartiene agli Stati. Negli anni novanta i repubblicani avevano tentato di promuovere un emendamento costituzionale per sancire il riconoscimento legale solo ad un’unione tra una donna ed un uomo, dopo che una sentenza della Corte suprema delle Hawaii aveva aperto alla possibilità di legalizzare i matrimoni omosessuali. La procedura complessa e l’impossibilità di raccogliere consensi su una tale proposta avevano portato all’approvazione del Defense of Marriage Act, una legge del 1996 approvata dal Congresso a maggioranza Gop ma firmata, e rivendicata poi in campagna elettorale, dallo stesso Bill Clinton. Il Doma prevedeva che solo le coppie etero avessero il riconoscimento di alcuni diritti garantiti alle unioni familiari a livello federale, ad esempio nella materia previdenziale. La legge è stata poi dichiarata incostituzionale l’estate scorsa da un giudice federale del Massachusetts, e non sarà più difesa nelle corti dall’Amministrazione Obama. Negli anni 2000 si è poi verificata la promozione di referendum statali che definissero il matrimonio come l’unione di un uomo e una donna, una guerra nelle urne che raggiunse la massima intensità nelle presidenziali del 2004. In undici Stati gruppi conservatrici promossero consultazioni popolari per difendere la tradizione del matrimonio, un’azione concertata col Gop schierato per la rielezione di George W Bush. I referendum vinsero, e solo nel Massachusetts la Corte statale consentiva ai cittadini omosessuali di unirsi legalmente. La sconfitta del 2004 non bloccò la comunità LGBT, che iniziò una lunga serie di battaglie legali per promuovere l’uguaglianza dei gay. Una scelta simile a quanto era stato fatto dalla NAACP, la più grande associazione afro-americana, che negli anni del segregazionismo aveva scelto la via giudiziaria per ottenere il riconoscimento dell’uguaglianza. I gruppi liberal tradizionali, come l’American Civil Liberties Union, si sono schierati immediatamente con la comunità omosessuale, e hanno gradualmente costretto i democratici a riposizionarsi su questo tema. Emblematico è il caso del potente senatore di New York Charles Schumer. Negli anni ’90 l’allora candidato al Senato si era dichiarato contrario ai matrimoni gay, mentre 10 anni dopo aveva garantito alle associazioni LGBT che si sarebbe impegnato per il riconoscimento dei loro diritti. Una storia comune a quella di tanti politici di sinistra americani. Lo stesso Bill Clinton ha definito il Don’t Ask, Don’t Tell il più grande errore del suo mandato presidenziale.

SFIDA NELLE ASSEMBLEE STATALI – In questo momento ci sono cinque Stati americani che consentono agli omosessuali di sposarsi: Massachusetts, Maine, New Hampshire, Iowa, Vermont e Connecticut. Inoltre, nella città federale di Washington, District of Columbia,sono legali i matrimoni gay, così come nella tribù indiana dei Coquille. La situazione è complessa in California, perché il referendum che ha bocciato le nozze omosessuali è stato dichiarato incostituzionale da un giudice federale, che aveva temporaneamente legalizzato i matrimoni gay, anche se la Corte d’Appello ha poi decisivo per una sentenza sospensiva. Nel Maryland il parlamento statale ha approvato le nozze omosessuali, e il governatore democratico dovrebbe firmare la nuova legge nei prossimi giorni. Altri Stati hanno introdotto il riconoscimento delle unioni civili, ma sono ancora più numerosi quegli Stati dove le leggi o le costituzioni, come quelle emendate dai referendum del 2004, riconoscono davanti alla legge solo la coppia formata da un uomo e una donna. Le elezioni di medio termine del 2010 sono state vinte nettamente dai repubblicani, ed in alcuni Stati il Gop ha provato a tirare indietro la lancetta della storia. La maggioranza conservatrice in Iowa vuole vietare il riconoscimento dell’uguaglianza delle coppie gay, associandolo ad una legge che impedirebbe alla locale Corte suprema di decidere sulla materia. In New Hampshire il Gop vorrebbe cancellare i matrimoni omosessuali, anche perché ha una maggioranza molto netta, capace di superare il veto del governatore democratico. A differenza dell’Iowa però il NH ha una tendenza libertaria abbastanza spiccata, e la nuova legge anti gay è stata spinta con meno decisione. I nuovi governatori democratici dell’Illinois e delle Hawai hanno introdotto le unioni civili, mentre altri due Stati del Nordest stanno provando a legalizzare i matrimoni gay. A New York l’unico problema è il Senato in mano repubblicana, anche se all’interno del Gop locale non c’è la strenua opposizione tipica della destra religiosa, e la maggioranza democratica ha introdotto la normativa pro nozze omosessuali. In Rhode Island i democratici hanno maggioranze bulgare, ed il nuovo governatore, l’indipendente Chafee, si è detto favorevole. Il vescovo locale si è scagliato contro i matrimoni omosessuali, definendoli immorali e dannosi per benessere della società. Il piccolo Stato del New England è a maggioranza cattolica, ma il 63% di chi si dichiara tale ha espresso nei sondaggi il suo appoggio alle nozze omosessuali.

PROSPETTIVA 2012 – La reazione della leadership congressuale repubblicana alla decisione dell’Amministrazione Obama sui matrimoni gay è stata relativamente moderata, critica verso il presidente ma più nei tempi e nei modi che nel merito. Lo speaker della Camera ha preferito attaccare la Casa Bianca sulla mancanza dei posti di lavoro, invece che criticare direttamente le nozze omosessuali. Anche i possibili candidati alle presidenziali hanno usato simili toni, con l’eccezione dell’eroina del Tea Party Michelle Bachmann. Greg Sargent, blogger americano del Washington Post, ha rimarcato come anche il Gop non valuta più questo argomento come “politicamente vincente”, come lo è stato fino a pochi anni fa. I repubblicani sanno che nell’elettorato più giovane, che pesa in misura maggiore alle presidenziali rispetto alle midterm, l’opposizione all’uguaglianza per i diritti LGBT è nettamente minoritaria. Nelle settimane scorse una figlia di Bush ha girato uno spot in favore delle nozze omosessuali, e nel 2008 la figlia di John McCain aveva dichiarato il suo appoggio ai matrimoni gay. L’Amministrazione Obama, dopo l’abrogazione del Don’t Ask, Don’t Tell, ha continuato a profilarsi come sostenitrice dell’uguaglianza per gli omosessuali. Il presidente ha dichiarato in un’intervista che sta riflettendo sulla sua contrarietà ai matrimoni gay, mentre il suo Vice Biden ha definito inevitabili le nozze tra persone dello stesso sesso. E’ probabile che Obama nella campagna elettorale del 2012 rivendicherà i suoi successi nella promozione dell’uguaglianza per la comunità LGBT, anche per rimobilitare il voto giovanile decisivo per i margini della sua vittoria nel 2008.

PAROLA ALLA CORTE – La disciplina del matrimonio negli Stati Uniti avviene a livello statale, ma l’incostituzionalità della discriminazione nei confronti dei gay sancita dalle sentenze dei giudici federali sul Defense of Marriage Act e sul referendum californiano potrebbero innescare un giudizio della Corte Suprema. Negli anni settanta i matrimoni omosessuali erano già arrivati all’attenzione del massimo tribunale statunitense, che però non si era espressa nel merito, rifiutando di procedere nell’esame del caso. Le corti federali d’appello dovranno decidere se inviare i nuovi casi alla Corte Suprema, che potrebbe per la prima volta esprimersi sul tema. In questo momento la Corte Roberts ha una maggioranza conservatrice, formata da quattro giudici ( il presidente Roberts più Scalia, Thomas ed Alito) che si appoggia a Anthony Kennedy. Il magistrato che si chiama come l’ex presidente democratico è notoriamente simpatetico alla giurisprudenza conservatrice nei casi economici, ma ha una tendenza libertaria nel giudicare gli argomenti inerenti ai diritti civili. E’ comunque possibile che la Corte non si esprima, anche per evitare di prendere una posizione dal profilo così marcatamente politico, oppure limiti l’estensione del suo giudizio. L’aborto negli Usa è disciplinato da una sentenza, Roe v. Wade, e da quando fu emessa la polemica sulla decisione della Corte Suprema non si è mai placata.

Da Giornalettismo.com

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