Il branco aggredisce coppia gay, salvati da un immigrato

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Di Massimo Mele il 24 Novembre 2011. 1 Commento

Pubblichiamo questa lettera apparsa su Repubblica sul pestaggio di una coppia di ragazzi in pieno centro a Milano. E’ la stessa vittima a sottolineare come la causa sia stata più una violenza gratuita che l’omofobia, ma abbiamo trovato estremamente interessanti le sue considerazioni sull’accaduto. Pestati a sangue in pieno centro ma nessuno si ferma per aiutarli o per chiamare la polizia “Non c’era nessuno ad aiutarci; forse le tante persone accanto a noi avevano le mani impegnate a reggere le borse del loro scintillante shopping” scrive Paolo dal suo letto di ospedale. E continua “Ci hanno raccontato che a salvarci è stato un ragazzo di colore, forse anche lui non proprio in regola visto che al momento dell’arrivo dell’ambulanza è fuggito via. Forse non aveva il permesso di soggiorno e secondo me lo meriterebbe”. Siamo d’accordo con lui: il bullismo, la violenza e lo stupro non hanno nazionalità, non sono certo gli immigrati il problema, come molti, Lega in prima fila, vogliono farci credere. Alcuni giorni fa decine di familiari di tre stupratori di una minorenne appena condannati hanno aggredito la vittima, i suoi familiari e gli stessi giudici. Sembrava una di quelle scene degli scontri in Parlamento a cui siamo abituati, dove volano cazzotti, fette di mortadella e “cappi” (corde legate a cappio come simbolo dell’impiccaggione).
Quella di Paolo e del suo compagno William è una lettera toccante che fa riflettere.

“Io, aggredito in pieno centro a Milano mentre passeggiavo col mio compagno”

Una immagine del Pride di Milano

Caro direttore, quella che sto per raccontare è una storia di quelle che “capitano-soltanto-agli-altri”. Una di quelle vicende che arrivano inaspettate, senza un significato o magari il significato è proprio in questo scrivere. È una storia di strada, di violenza, di leggi di clan, di bullismo, di paura, coraggio, lacrime e tanti abbracci. Nel mio braccialetto, qui in ospedale, c’è una data, 19 novembre 1976, è quando sono nato. E c’è un’altra data sopra: 19 novembre 2011. Le infermiere sorridono e mi dicono «buon compleanno». Forse non lo sapevano i tre ragazzi di una banda di bulli in Via Torino, in pieno centro, intorno alle 19.30, fra i negozi aperti e la gente che passeggiava con i primi acquisti di Natale.

Tre ragazzi di una banda, una delle tante – mi dicono al commissariato – che hanno dato sfogo a una violenza senza significato. Contro me e contro il mio compagno William. Vorrei potervi dire che questa vicenda si aggiunge ai tanti episodi catalogati come violenza omofobica, almeno avrebbe avuto una sua nobiltà di cronaca e un suo significato semplice. Ma no. Si è trattato di una banale violenza, senza significato e senza motivo, solo di una banda di ragazzi minorenni forse filippini, forse sudamericani, non so e non conta neanche tanto.

Erano tre e poi sono diventati tanti. Spintoni e pugni, tanti pugni. In quel momento non capisci bene cosa stia accadendo. Pensavo solo “copri il volto, copri il volto”. L’ho fatto e sono finito contro una serranda. Poi ho aperto gli occhi, c’era William che mi diceva di stare tranquillo, che era tutto finito. Aveva un occhio nero e sangue ovunque che gli scendeva dal naso. Ma era in piedi. Tanta gente intorno a noi ma nessuno aveva chiamato la polizia. Ci hanno raccontato che a salvarci è stato un ragazzo di colore, forse anche lui non proprio in regola visto che al momento dell’arrivo dell’ambulanza è fuggito via. Forse non aveva il permesso di soggiorno e secondo me lo meriterebbe. Ero lì contro la serranda aspettando che finissero. Non c’era nessuno ad aiutarci; forse le tante persone accanto a noi avevano le mani impegnate a reggere le borse del loro scintillante shopping.

Dei ragazzi non italiani ci hanno picchiato, un ragazzo non italiano ci ha salvato. In ambulanza guardavo William con i lividi mentre piangevo e non sapevo fare altro. Con la testa che rimbombava, tra le mani dell’infermiera. Ci guardava con gli occhi comprensivi di una donna che forse ne ha viste tante di scene come questa, sicuramente anche peggio. Ma per noi era la prima volta e peggio di così è difficile immaginarla.

Ci sono tante domande in tutta questa storia. Perché tanta violenza? Perché non c’era nessuno a intervenire? Come è possibile in pieno centro a Milano essere aggrediti così? Dove sono le autorità che dovrebbero vigilare? Qualche ora al Policlinico, Tac, radiografia e visita neurologica. Tante persone in gamba, professionali. Io intanto guardavo il mio William, che mi sorrideva con il labbro rotto, ed era un modo per dirmi «cisiamoancora». Oggi, the day after, i lividi sono più viola, la testa batte un po’ di più, ma soprattutto ci sono quegli attimi di violenza, quel lampo in mezzo a una passeggiata che non vogliono andare via. Andranno via presto, lo so. Ma non dovrebbero. Non se prima non riusciamo qc ottenere una città più sicura, a cambiare in noi stessi quell’atteggiamento di indifferenza e paura. Paura nel dire, nel fare, nel denunciare.

Al comando di polizia siamo stati per un paio d’ore. Ci dicono che si è trattato di un episodio di bullismo, uno dei tanti. Di quei ragazzi un po’ rapper, con le croci appese alle felpe, croci senza significato, un po’ come la mia firmata da stilisti famosi. Mi ripetevo: extracomunitari uguale violenza e delinquenza. Poi è iniziato il fotoriconoscimento: tantissimi ragazzi minorenni, senza guida. Erano tanti, tutti liberi, tutti fuori, tutti in giro in tante Via Torino. E, sorpresa, c’erano italiani, filippini, africani, cinesi, italiani, inglesi, sudamericani e ancora italiani. Perché in fondo la violenza, purtroppo, non ha nazionalità.

Io e il mio William siamo qui a raccontare questa storia perché siamo stati fortunati. I nostri lividi e dolori passeranno, come spero tornerà presto quella leggerezza nel passeggiare nel centro illuminato di Natale di questa bella città. Sono Paolo, e passeggiavo in Via Torino alle 19.30 di sabato sera.

Sull’aggressione registriamo anche le dichiarazioni di alcuni esponenti del movimento GLBT milanese:
Marco Mori, presidente di Arcigay Milano comunica: “Stiamo lavorando perché i il Comune dia il via, al più presto, allo sportello contro le discriminazioni di gay, lesbiche e trans e alle prime iniziative di formazione che coinvolgano anche i Consigli di zona”. “Arcigay – continua Mori – porterà in diverse zone della città il progetto “educare alla diversità”. Insomma, stiamo facendo la nostra parte, e prima delle elezioni, insieme a stranieri, disabili e anziani, abbiamo avvicinato la cittadinanza con l’iniziativa “Milano siamo anche noi” che ha ottenuto grande consenso. E’ ora quindi di mettere in campo politiche istituzionali nuove, che superino la logica della differenza etnica, di orientamento sessuale, culturale e religiosa per fare finalmente un discorso di piena cittadinanza e totale rispetto nell’uguaglianza”.
(24 novembre 2011)

One Response to Il branco aggredisce coppia gay, salvati da un immigrato

  1. trans milano   5 Luglio 2012 a 09:05

    be’ questa volta è andata bene non c’è scapato il morto!!!!

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