Giordania. La gay-life raccontata da una rivista di moda

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Di Massimo Mele il 5 Dicembre 2012. Nessun commento

Conversazione con il direttore di MyKali, la prima rivista di moda e cultura (anche) gay in Giordania. Che racconta la sua storia e il suo lavoro: “Cerchiamo di mandare un messaggio e di cambiare le cose restando nel nostro paese. Non è meraviglioso?”

di Marta Ghezzi da Amman 

 

“L’idea di fondo è quella di prendere un personaggio, possibilmente etero, e farlo diventate un’icona gay.

C’è bisogno di rompere gli stereotipi che si sono andati creando, attorno alla comunità gay come a quella etero.

Tu prendi una rivista notoriamente gay e mettici in copertina un cantante arabo famoso, che tutti sanno essere sposato e con figli. Chi se lo aspetta? Nessuno. Poi nell’intervista fallo parlare delle sue cose, ma fargli anche una domanda ‘gay’: sui diritti, sulle relazioni, sulla sua posizione rispetto al mondo lgbt. Ecco che hai uno che non lo avrebbe detto altrimenti, che non avrebbe avuto un altro spazio per esprimere il suo pensiero sull’omosessualità, e che insieme ha una visibilità altissima. E di conseguenza anche noi con lui”.

“Prendi ad esempio il bar che c’è qui in fondo alla strada. Lo sanno tutti che è un ritrovo gay, come sanno tutti che gli etero affollano la terrazza che si affaccia sulla strada mentre i gay prendono posto sul retro.

Sono lì, insieme, per tutta la sera, ma sono due gruppi che non dialogano mai, che non sono messi nella posizione di potersi incontrare. Noi facciamo esattamente questo: creiamo la situazione perché i due mondi parlino e si confrontino”.

A raccontarcelo è Khaled, direttore e fondatore di MyKali, rivista di moda e cultura (anche) gay.

Senza cognome, solo Khaled. 

“Non voglio essere identificato con il giornale”, spiega. “Già è capitato che qualcuno mi chiamasse ‘Khaled Majallat’ (“riviste” in arabo, ndr). È una cosa che non mi piace. Ho avuto problemi in passato per alcune cose che ho fatto ‘mettendoci la faccia’. Soprattutto a casa, con mia madre. È molto religiosa come tutta la mia famiglia. Anche io, a modo mio, lo sono: parlo con dio e sono sicuro che dio ci ami tutti. Ma questo non è un buon motivo per dare un dispiacere”.

“Della mia omosessualità si sa, credo, da sempre. Quando ero piccolo, ero un bambino ‘da cabaret’, cantavo e ballavo. Poi con il tempo le cose si sono fatte più serie. Verso i 14 anni ho iniziato a provare attrazione per un amico. Ad interessarmi più che altro era la sensazione di protezione, di conforto, che la sua vicinanza mi dava.

Mi piacciono gli uomini e basta. Non è molto semplice?

La mia è una famiglia aperta, ma anche lì con delle eccezioni, e non mi va di rovinare tutto per colpa della rivista o di quello che posso dire o fare solo a nome mio”.

Fin qui, la sua storia. Quella della sua rivista, MyKali, inizia nel febbraio del 2008, “anche se ha avuto un precedente nell’ottobre 2007. È a quel tempo che escono i primi articoli sulla scena gay giordana e si inizia a parlare dell’argomento”, racconta Khaled.

“Era il momento giusto: io avevo 18 anni e volevo farlo, volevo parlare a tutti di quello che stava succedendo.

Oggi MyKali vanta una squadra di circa 30 persone, compresi fotografi, truccatori, grafici, amministratori delle pagine sui social network. Riceviamo contributi un po’ da tutto il Medio Oriente. E no, non sono tutti gay”.

Khaled è convinto che la Rete, per loro, rappresenti una ricchezza e una fortuna: “La diffusione di Internet ci ha dato un grande aiuto, perché permette alle persone di avere quello che vogliono senza farlo sapere in giro.

È per questo che abbiamo una newsletter: è più facile seguirci su Facebook, ma poi c’è sempre il rischio che lo venga a sapere la persona sbagliata, e che l’equazione ‘rivista gay = tu sei gay’ metta nei guai qualcuno.

Una rivista on-line, che leggi quando vuoi, da dove vuoi, e di cui puoi cancellare facilmente qualunque traccia, in un posto come questo è una fortuna.

Prendi l’esempio della Giordania: ad Amman esiste una ‘gay life’. Ma fuori dalla capitale? Abbiamo ricevuto messaggi di ragazzi che abitano in province lontane da qui e che pensavano di essere gli unici, che non avevano nessuno con cui confrontarsi e poi hanno trovato il nostro giornale”.

Una situazione delicata, quella giordana.

Un paese in cui “l’omosessualità non è illegale, non c’è una legge che impedisca a un uomo di amare un altro uomo, ma la società è ancora troppo chiusa per poterlo accettare.

Puoi vivere una vita completamente ‘gay’, sempre che tu non ti faccia scoprire, seguendo quei cliché maschilisti e machisti che la società impone e che si aspetta che tu segua. Puoi essere gay quanto vuoi, ma non puoi essere effeminato. La realtà qui è quello che è”.

Nella sua vita di storie ne ha sentite tante. Soprattutto quelle “di matrimoni combinati. Lui gay che la famiglia fa sposare a forza per ‘guarirlo’, quando non è lui stesso ad accettare un matrimonio nella convinzione che l’omosessualità sia solo un passaggio; coppie in cui entrambi sono gay, ma per quieto vivere di tutti decidono di sposarsi, per poi portare avanti le loro vite separatamente, al riparo di una relazione socialmente accettabile; o, ancora, ragazzi che per tutta la vita hanno relazioni gay e poi decidono di interromperle improvvisamente sposando una ragazza, mettendo su famiglia come se niente fosse”.

Il direttore di MyKali preferisce lasciare che di politica si occupi qualcun altro: “Lasciamo la rivendicazione dei diritti a chi sa fare la politica meglio di noi. Io non mi sento un leader e non voglio esserlo. A me interessa la moda, il fashion in tutte le sue forme, la fotografia”.

Piuttosto, è  “con i nostri servizi fotografici che cerchiamo di mandare un messaggio, che poi è quasi sempre lo stesso: cose e persone sbagliate nel posto sbagliato.

Una volta abbiamo realizzato degli scatti davanti a una moschea, con il modello in costume da bagno. Siamo stati molto criticati, ‘non si va vestiti così in un luogo di preghiera’, dicevano, nonostante avessimo i permessi della polizia. Certo, non avevamo specificato che il servizio sarebbe stato fatto praticamente in mutande”.

“Io invece credo di essere la persona giusta nel posto giusto”, afferma convinto Khaled.

“Sono qui, sono giovane, faccio una cosa che amo e la faccio per un motivo. Voglio cambiare le cose, aprire gli occhi della gente, aprire le loro menti con gli strumenti che ho.

Molti, a prescindere dall’identità sessuale, vanno all’estero per vivere una vita migliore. Io no, io resto.

Se tutti se ne vanno, come si può pensare di poter cambiare qualcosa? Sono sicuro che conMyKali stiamo facendo la cosa giusta, e la stiamo facendo qui. Non è meraviglioso?”.

Per la pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/MyKali-Magazine/149318815079526?fref=ts

Per il sito: http://mykalimag.com/

Fonte Osservatorio Iraq

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