«Prostituzione? Non ne so nulla»

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Di Massimo Mele il 3 Gennaio 2011. Nessun commento

Don Usai davanti al giudice lascia intravedere un complotto ai suoi danni. Il magistrato si è limitato ad ascoltare senza fare domande

ARBOREA. La parola è «complotto». Don Giovanni Usai non la usa di fronte al giudice per le indagini preliminari, ma ha sempre aleggiato come un fantasma sullo sfondo dell’interrogatorio di garanzia durato quasi un’ora e mezzo, a cavallo dell’ora di pranzo di venerdì.
Il giudice Mauro Pusceddu non ha fatto domande. Si è limitato ad ascoltare la deposizione del sacerdote, accusato di aver abusato di una ragazza nigeriana – da lei avrebbe ottenuto una prestazione in cambio di un’assunzione a tempo indeterminato – ospite della comunità per detenuti o ex detenuti «Il Samaritano», gestita proprio da don Giovanni Usai, e di aver consentito che la struttura si trasformasse in una casa di appuntamenti, in cui le ragazze ospiti vendevano il proprio corpo. C’era anche il sostituto procuratore Diana Lecca, che ha ascoltato una versione totalmente opposta a quella che ha messo in piedi in questi mesi di indagine. Il magistrato che coordina l’inchiesta dei carabinieri ha ascoltato con attenzione, senza intervenire. Di certo c’è che don Giovanni Usai, affiancato dagli avvocati difensori Anna Maria Uras e Francesco Pilloni, è arrivato a conclusioni opposte a quelle degli inquirenti.
Per prima cosa ha puntato il dito su quelli che sono i testimoni chiave dell’indagine. Sono gli stessi finiti nelle intercettazioni, ma anche quelli che hanno rilasciato le loro dichiarazioni. È sulla loro attendibilità che la difesa punta il dito. La ritiene evidentemente scarsa, anche perché sono persone che si sono lasciate alle spalle un passato quanto mai burrascoso, fatto inevitabilmente anche di vita vissuta dietro le sbarre di un carcere.
Ma c’è dell’altro. Potrebbero avere più di un motivo valido per vendicarsi, per farla pagare a quel prete che in passato aveva forse osteggiato le loro attività illecite ed è per questo che oggi lo accusano. Sarebbero quindi testimoni carichi di astio.
Ma sulle circostanze che hanno portato all’accusa di favoreggiamento della prostituzione, don Giovanni Usai tira fuori un’altra argomentazione che già era stata preannunciata dalla difesa. In cinque anni, in un’area di 38 ettari, sono passate circa 1.500 persone. Sono tante, troppe perché su queste potesse esserci assoluto controllo da parte del sacerdote, che spesso non soggiornava al Samaritano perché impegnato al di fuori della comunità.
Sullo sfondo di queste dichiarazioni, aleggia come un fantasma la parola complotto. L’avevano tirata fuori gli amici di don Giovanni Usai nei giorni scorsi. Non ricompare nell’interrogatorio, ma sarebbe rimasta sospesa. Chi e perché quindi avrebbe avuto motivi per mettere in ginocchio Il Samaritano e il suo uomo guida? In questi anni la comunità ha dato fastidio a molti. Perché si occupa di detenuti, di extracomunitari. Perché per un periodo ha ospitato i rom allontanati dai loro terreni a Terralba, dopo un’ordinanza del sindaco. Tutte queste non sono esattamente persone che di questi tempi in tanti vorrebbero avere come vicini di casa. E allora ci sarebbe stato più di un motivo per voler incastrare don Giovanni, la cui versione però contrasta pesantemente con quella degli inquirenti e soprattutto con il pronunciamento del giudice per le indagini preliminari, che aveva disposto la misura di custodia cautelare agli arresti domiciliari. E a dimostrare che gli inquirenti ci siano andati coi piedi di piombo e con tutte le precauzioni del caso, ci sarebbe il fatto, ad esempio, che tuttora non abbiano esattamente rivelato il luogo in cui il sacerdote sta trascorrendo questi giorni difficili. Ne passeranno altri, ma non più di dieci, prima che i due avvocati difensori presentino la richiesta di riesame al tribunale della Libertà che sarà certamente chiamato a decidere se confermare i domiciliari.
Intanto la voce dell’arcivescovo, Ignazio Sanna, si leva per la prima volta in maniera ufficiale dopo il suo rientro dalla Germania. Lo fa dopo l’incontro col collegio dei consultori e ribadisce che «la comunità diocesana ha appreso la notizia con grande sofferenza». Poi c’è un invito alla preghiera per chi si è sempre impegnato per i poveri e gli emarginati.

Da la Nuova Sardegna

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