Aiuti internazionali e diritti degli omosessuali

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Di Massimo Mele il 14 Novembre 2011. Nessun commento

Condizionare gli aiuti ai governi dei paesi in via di sviluppo  al rispetto dei diritti umani e ai progressi in termini di democrazia sta diventando un prerequisito sempre più diffusi;  richiesto da molti paesi donatori soprattutto a paesi altamente dipendenti dall’aiuto.

La stessa Commissione europea propone per la nuova visione comune dell’Unione Europea per la cooperazione allo sviluppo che il rispetto dei diritti umani sia un pre-requisito per canalizzare aiuti direttamente ai governi e che gli strumenti di cooperazione più rilevanti, come il sostegno diretto al bilancio, abbiano come obiettivo esplicito  il sostegno ai progressi democratici e non più semplicemente si accontentino di favorire il buon-governo.

Si tratta di una tendenza iniziata negli anni novanta, dalla popolarità altalenante ma che la “”primavera araba” ha rafforzato. La longevità di questo approccio appare piuttosto sorprendente dato che questo tipo di condizioni non ha garantito risultati evidenti tranne essere invise a molti paesi in via di sviluppo. Questa “ingerenza democratica” sarebbe alla base della popolarità dell’intervento della Cina in Africa – che adesso gli europei stanno rincorrendo.

Recentemente, il Regno Unito ha dichiarato che sarebbe pronto a rivedere i propri programmi di aiuto con i governi che penalmente puniscono e discriminano gli omosessuali. La dichiarazione chiama soprattutto in causa i governi dei paesi africani dove molte legislazioni prevedono sanzioni penali per l’omosessualità.

Nel 2011 si registra un apparente deterioramento delle situazioni degli omosessuali in Africa con la conseguente presa di posizione della comunità dei paesi donatori. Il primo caso è l’incarcerazione in Malawi di una coppia gay, a cui seguono proposte di legge in Ghana, Uganda e Nigeria che estendono e aggravano i reati penali legati all’omosessualità dove per qualche caso si prevede anche la pena capitale. E’ corretto parlare di un deterioramento apparente poiché in realtà in nessun caso i progetti di legge sono stati approvati e la coppia arrestata in Malawi è stata poi liberata.

La reazione dei paesi occidentali al caso del Malawi, soprattutto del Regno Unito, Germania e Stati Uniti, è stata quella di sospendere l’assistenza esterna al governo, con costi ingenti per il bilancio degli stati dove l’aiuto può rappresentare anche il 30%.

Questi fatti pongono alcune domande: Fino a che punto l’aiuto può essere condizionato al completo rispetto dei diritti umani? quanto l’aiuto è in grado di provocare riforme, soprattutto rispetto a norme relative ai diritti?

Inoltre i governi dei paesi in via di sviluppo messi sul banco degli imputati sono comunque paesi  che hanno avuto risultati significativi in termini di riduzione della povertà, per cui questi governi possono sostenere di avere un genuino impegno a garantire lo sviluppo – l’obiettivo principale di cui i Paesi sonatori dovrebbero preoccuparsi.

Altro dilemma: cosa fare rispetto ad un governo onesto che ha successo nel ridurre la povertà ma non promuove i diritti degli omosessuali?

Infine  la reazione dei donatori espone all’esame lo stato di tutela delle minoranze e di alcuni diritti ONU negli stessi Paesi OCSE. In molti di questi, il matrimonio omosessuale è illegale così come l’aborto. Dovrebbe l’UE bloccare i propri finanziamenti strutturali a Malta o all’Irlanda?

Il rischio è di rafforzare la determinazione di molti paesi in via di sviluppo ad andare avanti con legislazioni peggiorative, innescando un circolo di solidarietà negativo. La reazione pubblica dei paesi africani è stata di chiusura, affermando la propria sovranità e accentuando la diversità culturale. La Tanzania, che fino ad allora non aveva sul tavolo alcun provvedimento peggiorativo,  si è detta pronta ad affrontare le conseguenze umane della sospensione dell’aiuto di fronte a quella che il governo considera un’inaccettabile imposizione neo-coloniale rispetto a valori tradizionali africani.  La reazione della Tanzania, un paese sempre molto accondiscendente- anche troppo – alle richieste di riforma dei donatori, la dice lunga su quanto la questione dei diritti degli omosessuali sia politicamente sensibile.

Quando il dibattito rischiava di assumere i connotati di una scontro inconciliabile tra visioni del mondo e tra regioni del globo c’è stato l’intervento di tutti i gruppi di associazioni di attivisti che si battono per la fine delle discriminazioni contro l’omosessualità nella regione.

Per mezzo di un comunicato stampa, i gruppi di attivisti hanno giudicato le dichiarazioni inglesi controproducenti da più punti di vista, primo tra tutti per l’atteggiamento paternalista che ha ignorato l’impegno in essere dei gruppi locali. Sempre per gli attivisti africani, interrompere gli aiuti non avrebbe in alcun modo giovato alla causa o migliorato le condizioni degli omosessuali in Africa, ma anzi avrebbe rinforzato l’dea che l’omosessualità è una questione estranea al continente. Sospendere gli aiuti avrebbe necessariamente portato ad un peggioramento delle condizioni di vita di molti africani nel breve periodo, tra cui gli statti gruppi di omosessuali, trasformandoli comunque in ovvi colpevoli della propaganda omofoba.

Le organizzazioni degli attivisti per i diritti gay in Africa hanno concluso chiedendo che i Paesi OCSE continuino sostenere il welfare e soprattutto l’istruzione, come migliore investimento possibile per affrontare in modo risolutivo la questione delle discriminazioni contro gli omosessuali.

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