Unità d’Italia: 150 anni di ipocrisia etero maschilista

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Di Massimo Mele il 16 Marzo 2011. 1 Commento

Per festeggiare l’unità d’Italia bisogna partire dal proprio senso di appartenenza ad una comunità nazionale. Personalmente non ho mai sentito così lontana l’Italia come in questo momento.

Con la promulgazione della legge n. 4671 del Regno di Sardegna, il 17 Marzo del 1861, Vittorio Emanuele II diventò re del Regno d’Italia. Con quell’atto si costituì quella che oggi conosciamo come Repubblica italiana, la nazione nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e sui valori di libertà e uguaglianza propri della resistenza al fascismo. Da quella data sono passati 150 anni e l’Italia è diventata una delle 8 nazioni più importanti del mondo, anche se sarebbe meglio dire delle nazioni occidentali o, meglio ancora, della Nato.
Il Governo italiano, dopo varie discussioni, distinguo e tentennamenti, ha deciso che domani sarà un giorno di festa, per chi vuole. Per tutti gli altri sarà una normale giornata lavorativa pagata il doppio. Rossana Praitano, del circolo Mario Mieli e Paolo Patanè, dell’arcigay, i due portavoce dell’Europride di Roma, comunicano che domani saranno nella gay street romana per i festeggiamenti, in salsa gay, dell’unità d’Italia. “Sarà l’occasione per ribadire che gay, lesbiche e trans partecipano convintamente ai festeggiamenti per celebrare l’Unità di un Paese di cui sono parte attiva e visibile e che hanno già piena cittadinanza e piena parità di diritti nella Costituzione” scrivono in un comunicato. Ma è davvero così? Io credo di no e penso che sia solo una trovata pubblicitaria per la manifestazione prevista l’11 Giugno a Roma. Tuttavia mi sento di criticare questa scelta infelice che non esprime, in alcun modo, il totale senso di estraneità di gay, lesbiche e trans da quest’Italia così fintamente cattolica e moralista che, unica in Europa, continua ad escludere le persone omosessuali e transessuali dalla piena cittadinanza. Se è vero che l’unità d’Italia si fece 150 fa, l’Italia è quella che si basa sulla costituzione repubblicana del 1947, quella che, all’art. 2, recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e, all’art. 3, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma, solo pochi mesi fa, il parlamento italiano ha bocciato l’aggravante per i reati di omofobia, perchè discriminare o incitare all’odio e all’omicidio di gay e lesbiche non può essere sanzionato: manderebbe in carcere un gran numero di politici italiani e gran parte del Vaticano (ma solo teoricamente in quanto Stato sovrano). Le Unioni Civili non sono riconosciute e chi ha contratto matrimonio all’estero è meglio che non torni più in Italia, sopratutto se ha anche dei figli che, per il Parlamento italiano, sono incidenti di natura che non vanno in alcun modo riconosciuti. Eppure, in tutto questo fanatismo etero familista, ci troviamo oggi con i governanti più adulteri, sporcaccioni e viziosi del pianeta. Divorzi e scapatelle sono all’ordine del giorno, così come le convivenze e le unioni di fatto che, a parole, tanto scardinerebbero l’ordine familiare. Ma anche festini, orge, prostitute minorenni, transessuali, cocaina e tutto quello che l’attuale maggioranza, e i suoi supporter in vaticano, condannano a parole e nelle leggi per i comuni cittadini ma che, evidentemente, non valgono per loro.
Amarezza e frustrazione che si trasformano in un profondo sentimento di rabbia. Che razza di nazione siamo che non riconosce gli elementari diritti di cittadinanza a gay e lesbiche, che non condanna l’omofobia ma si fa governare da un vecchio porco che utilizza il suo potere e i suoi soldi per abusare del corpo di ragazzine minorenni, per quanto consenzienti. Come possiamo sentirci parte di questa orgia di potere patriarcale che ci riporta ad una gerarchia del diritto di tipo feudale dove al signore ed alla sua corte è tutto concesso ed al popolo no?
Per festeggiare l’unità d’Italia bisogna partire dal proprio senso di appartenenza ad una comunità nazionale. Personalmente non ho mai sentito così lontana l’Italia come in questo momento. No, io non festeggerò l’Unità d’Italia, né riconosco all’Italia il diritto di chiamarsi Stato. Sicuramente non è il mio.

Massimo Mele

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