Rivedere le priorità: dalla “famiglia tradizionale” alle “famiglie”

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Di Massimo Mele il 27 Maggio 2015. Nessun commento

L’approvazione in Irlanda dei matrimoni tra persone dello stesso sesso ha riacceso i toni del dibattito politico anche in Italia, afflitta da un ingiustificabile vuoto normativo che impedisce il riconoscimento di diritti alle unioni omosessuali.

Tra i “no” categorici ai matrimoni gay quello di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, attraverso un contestatissimo (menomale!) post su Facebook, ha espresso come già in passato la sua visione sul tema: “No al matrimonio tra persone dello stesso sesso: sarebbe una spesa enorme per lo Stato e una inaccettabile apertura alle adozioni gay. Fratelli d’Italia si batterà in Parlamento contro il ddl Cirinnà che introduce la ‘stepchild adoption’ e apre di fatto le porte all’utero in affitto. Per noi le priorità sono altre: sostenere la famiglia tradizionale e la natalità e difendere il sacrosanto diritto di un bambino a d avere un padre e una madre”.

Teniamo in sospeso le amare riflessioni sul fatto che la Meloni argomenti definendo una “spesa enorme per lo Stato” i matrimoni omosessuali.

In quest’articolo ci concentriamo invece sull’argomentazione-baluardo di chi si oppone all’introduzione delle nozze gay: le famiglie omogenitoriali deviano dalla famiglia tradizionale, quindi sono brutte e cattive.

Partiamo dall’attributo “tradizionale”. Cosa intendono i paladini del modello familiare unico con questo rassicurante termine? Si riferiscono a un nucleo familiare composto da uomo e donna che, essendo biologicamente in grado di procreare, garantirebbero la necessaria base di “naturalità” alla loro famiglia. È un ragionamento facile facile: quello che è naturale è vero, la famiglia uomo/donna è naturale, la famiglia etero è (l’unica) vera. Ignorando così in un sol colpo l’esistenza di realtà sociali ormai consolidate, come le famiglie monoparentali e quelle omogenitoriali.
Proviamo a porci una semplicissima domanda: chi includo nella mia esperienza di famiglia? Immagino che le risposte varino. Evidentemente ci sono mamme e papà insieme, ma anche solo mamma o solo papà, due mamme o due papà, e poi nonni, nonne, zii e zie: la famiglia è data dal legame affettivo, che non coincide necessariamente con l’uomo e la donna biologici che ci hanno generato.

In quale categoria sarebbero allora relegate le famiglie con bimbi adottivi? Le famiglie in cui i genitori sono divorziati? Le famiglie allargate? Che ne è delle “famiglie”, intese come molteplicità di vincoli d’amore?

La famiglia tradizionale è un concetto stantio e dall’anima discriminatoria, perché esclude senza riguardo chi non vive come prescritto dalla norma (quella cattolica in primis). Come spiega Chiara Lalli in Buoni genitori: “La famiglia tradizionale è un gruppo finalizzato a trasmettere beni e proprietà nel corso delle generazioni […]. Si basava sulla subordinazione delle donne, spesso veri e propri ‘beni’ proprietà indiscutibile degli uomini fino al XIX secolo”.

Come giudicheremmo oggi una famiglia in cui la donna è stata costretta a sposare l’uomo che l’ha violentata per preservare l’onore del marito stupratore? Eppure fino al 1981 la famiglia tradizionale nel nostro Paese era anche questo. Fino ad allora la legge italiana aveva garantito all’uomo un fortissimo potere decisionale sulla donna, condizione divenuta ormai inammissibile nell’attuale diritto di famiglia. Nonostante ciò ne assaporiamo ancora il nefasto retaggio culturale, quando sentiamo parlare della violenza di genere di cui ci raccontano quotidianamente i media.

La necessità della “famiglia tradizionale” è fasulla perché tradizione non è necessariamente sinonimo di bontà.
E allora di cosa parla la Meloni quando si oppone con tanta fermezza ai matrimoni gay? Per cosa si battono veramente lei, i Fratelli d’Italia e le parti politiche che hanno così a cuore il destino della famiglia tradizionale? L’intento è quello di guadagnare consenso, e lo fanno discriminando, confermando attraverso vuoti legislativi ed ostruzionismo che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, e ignorando volutamente che i diritti non sono una realtà negoziabile a uso e consumo dei giochi della politica.

 

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