Rafiki di Wanuri Kahiu

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Di Luisa Cutzu il 26 Aprile 2020. Nessun commento

Le relazioni omosessuali sono illegali in più di 70 paesi; la maggior parte di questi è in Africa. In Kenya, i rapporti tra persone dello stesso sesso, possono essere puniti fino a 14 anni di carcere. 

Nel maggio del 2019, l’Alta corte del Kenya respinge un ricorso, presentato da alcun* attivist* LGBT nel 2016, che chiedeva di eliminare le leggi che criminalizzano l’omosessualità1. Le ragioni per le quali il ricorso non è stato accolto sono legate alla posizione della Costituzione per cui il matrimonio omosessuale è fuorilegge; quindi, accogliere il sesso tra gay avrebbe potuto creare un precedente e aprire le porte alle unioni tra persone dello stesso sesso.

rafiki

In questo clima tutt’altro che roseo, arriva Rafiki, film diretto dalla regista Wanuri Kahiu e presentato alla 71^ edizione del Festival di Cannes nella sezione Un certain regard

Rafiki, che in swahili significa “amico”2, racconta la relazione tra due ragazze, Kena e Ziki (interpretate rispettivamente da Samantha Mugatsia e Sheila Munyiva), figlie di due famiglie politicamente rivali. Dai primi sguardi, scambiati timidamente tra le strade di Nairobi, fino all’intimità completa, il film ci mostra l’amore nel suo farsi, lentamente e senza forzature. Ma come nella maggior parte dei film incentrati sul tema dell’omosessualità, sono le ostilità del contesto a mettere a dura prova i sentimenti delle due ragazze. La comunità nella quale sono inserite non si esime infatti dal considerare innaturale il loro rapporto e, nel momento in cui questa viene scoperta, la reazione delle famiglie si mostra in linea con la posizione della comunità. Il parroco stesso, durante un sermone, dice «I would like to start the service. Before I start, I would like to thank God for giving me a wife. My wife is beautiful, clever, courageous, and wise. What surprises me is that there are Kenyans who are challenging the government because of their stand… on same-sex marriage. They say it’s a human right. What is a human right? Isn’t God who decides what is right and what isn’t? Are we going to ignore God? Don’t choose to be lost! Because God’s laws don’t change like human laws or your country’s»*. Parole che suonano minacciose per due ragazze che si trovano a dover fare i conti con la loro omosessualità.

Il film in sé ha una trama lineare, racconta una storia alla quale siamo ormai abituat* come pubblico, se non del tutto anestetizzat*. Specialmente quando ci confrontiamo con la cinematografia lesbica è quasi scontato trovarsi di fronte a storie dal finale poco lieto3. Rafiki sembra, almeno in parte, allinearsi a questa tendenza. Ciò che però davvero colpisce di questo lungometraggio è il contesto produttivo nel quale si inserisce e alcune scelte stilistiche che lo caratterizzano. Partendo da questo ultimo punto, mi preme mettere l’accento sulle scelte cromatiche e sulla fotografia limpida e fiabesca che percorre tutto il film. I colori, in modo particolare (come le treccine rosa di Ziki, le luci psichedeliche del primo appuntamento o la camicia viola del parroco), regalano alla narrazione un certo distacco da quella realtà che caratterizza il paese in cui la storia è ambientata e restituisce un immaginario nuovo e fresco del continente africano al quale non eravamo abituati. 

Il secondo aspetto, legato invece al processo produttivo e all’accoglienza che è stata riservata al film, è senza dubbio il più interessante. Rafiki, come già accennato, è stato presentato a Cannes attestandosi come il primo film keniota ad essere proiettato al festival. Per poter raggiungere però una così importante vetrina ha dovuto infrangere il veto che gli era stato imposto. Il film, infatti, è stato bandito dal Kenya Film Classification Board (KFCB) in quanto «cerca di legittimare il lesbismo»4. Non solo: il KFCB ha avvertito che avrebbe infranto la legge anche chiunque fosse stato in possesso del film o di materiale legato al film come poster e trailer. Il 21 settembre del 2018, l’Alta Corte del Kenya ha concesso una revoca del divieto per sette giorni, per permettere al film di tentare la corsa all’Oscar nella categoria Miglior Film Straniero e Rafiki_2concedendogli inoltre di essere proiettato nel paese. Un percorso travagliato che ha reso l’opera ulteriormente carica di significati: vedere Rafiki, alla luce di tutto ciò, diviene un gesto politico sovversivo.

Attraverso il cinema, attraverso un film così carico di speranza, è possibile tentare una via per ribaltare la politica dominante, un passo alla volta. Rafiki diventa quindi narrazione universale, facilmente condivisibile soprattutto da chi sente l’esigenza di alzare la testa e lottare, perché, come sostiene Wanuri Kahiu, «every single story has the right to be told and the right to be heard»**.

Riferimenti bibliografici

1 Kenya, l’Alta corte respinge il ricorso degli attivisti: i rapporti omosessuali restano illegali

La regista, nel corso di un’intervista, dichiara «Rafiki means friend, singular. Often when you’re in a same-sex relationship and you have to introduce your partner, more often than not you have to say: “This is my friend.” Even when they’re so much more». Il resto dell’intervista era consultabile al seguente link: “We Truly Love Our Country” — An Interview with ‘Rafiki’ Director Wanuri Kahiu. Attualmente non risulta accessibile.

3 La premessa del volume Visioni lesbiche di Federica Fabbri mette in luce gli aspetti legati proprio alla tendenza del cinema lesbico di arrivare a conclusioni spesso eccessivamente drammatiche. Cfr Federica Fabbri, Visioni lesbiche, 40k Unofficial, 2013.

4 Maggiori informazioni sul caso sono reperibili al seguente link: Kenya bans Rafiki ahead of Cannes debut over lesbian scenes

* Vorrei cominciare la funzione. Prima di cominciare, vorrei ringraziare Dio per avermi dato una moglie. Mia moglie è bellissima, intelligente, coraggiosa e saggia. Ciò che mi sorprende è che esistono Kenioti che vorrebbero sfidare il governo con la loro posizione… sul matrimonio omosessuale. Loro dicono sia un diritto umano. Cosa è un diritto umano? Non è forse Dio che decide cosa è giusto e cosa no? Stiamo ignorando Dio? Non perdiamoci! Perché le leggi di Dio non cambiano come le leggi dell’uomo.  

** Ogni singola storia ha il diritto di essere raccontata e il diritto di essere ascoltata.

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