Tel Aviv: l’isola gay friendly in uno stato omofobo e violento

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Di Massimo Mele il 8 Febbraio 2012. Nessun commento

Tutti conoscono il terrorismo palestinese contro Israele ma ben pochi sanno che lo stato di Israele è stato fondato sul sangue di migliaia di civili europei ed arabi massacrati dai gruppi terroristici ebrei che tentarono anche una vera e propria pulizia etnica dei palestinesi. E’ vero che anche Berlino oggi è una capitale molto gay friendly, ma in Germania i lager non esistono più, in Israele si!
Spacciata come la “Mecca gay” del medio oriente, Tel Aviv è da sempre considerata una città estremamente gay friendly, regalando anche al resto del Paese, Israele, un’immagine di democraticità offuscata dalla violenza e dalla crudeltà dell’occupazione dei territori palestinesi.
Sorto nel 1948, dopo anni di guerriglie e di attacchi terroristici da parte di gruppi paramilitari di ebrei estremisti, (che oltre ad azioni terroristiche contro civili inglesi e arabi cercarono di svolgere una vera e propria pulizia etnica dei palestinesi come dimostra il famoso massacro di Deir Yassin, del 9 Aprile 1948), fra cui spicca il terrorista Ben Gurion che, mollate le armi ne diventerà il primo presidente nel ’48, Israele deve la sua nascita all’orrore che seguì la scoperta dei campi di sterminio nazisti in cui morirono circa 6 milioni di ebrei. Solo allora la comunità internazionale decise di dare una porzione della Palestina agli ebrei, che da tempo combattevano contro l’Inghilterra e le popolazioni arabe, per costruire uno Stato che diventasse il riferimento per tutti gli ebrei sparsi per il mondo, per quelli sopravvissuti allo steriminio e per quelli fuggiti dai rastrellamenti tedeschi.

Soldati israeliani al Pride di Tel Aviv

Da allora Israele ha notevolmente aumentato i suoi confini, ocuupando porzioni di territorio da tutti gli Stati confinanti e occupando militarmente l’intero territorio della Palestina. Un’occupazione che dura ancora oggi, in totale contrasto alle molteplici risoluzioni dell’ONU che chiedono il ritiro entro i confini del 1967, anno della guerra dei 6 giorni in cui gli israeliani sbaragliarono gli stati arabi in una guerra lampo che ne decreto la supremazia militare (grazie alle ingenti quantità di denaro rastrellate ovunque che gli permisero di acquistare un arsenale fra i più potenti del mondo e all’aiuto degli Stati Uniti).
Qualunque siano stati gli errori del passato di entrambi i fronti, la storia attuale ci racconta di uno Stato militare, prevalentemente guidato dalla destra religiosa (i pochi di sinistra sono rimasti assai poco al potere, come Rabin, che ricercava la pace con i palestinesi e venne ammazzato da un estremista ebreo), in cui convivono, non senza problemi, ortodossi di stretta osservanza, gruppi anarco/queer antisionisti ed il resto della popolazione preda di una incessante propaganda di odio contro arabi e, nello specifico, contro i palestinesi.

Soldati israeliani al "lavoro"

L’omosessualità è stata per anni una delle armi della propaganda: all’omofobia degli stati arabi veniva contrapposta una certa tolleranza della “democratica” israele. Persino le organizzazioni gay, rigidamente confinate a Tel Aviv, usavano la stessa propaganda, si pensi ad Agoudà, salvo poi rendersi conto che per gli omosessuali fuggiti dai territori occupati in israele non c’era posto e venivano sistematicamente rispediti indietro, condannandoli a morte. Sia per gli israeliani che per i palestinesi, gli omosessuali che cercavano la fuga sono delle persone deboli e corrompibili, facili da usare come spie e perciò indesiderati. Per le strade di Tel Aviv sono tanti i palestinesi clandestini che cercano di sopravvivere prostituendosi o che cercano di conoscere turisti europei che gli permettano di ottenere un visto per fuggire da quella vita di odio e di sfruttamento.

Tel Aviv conta diverse organizzazioni GLBTQ, da quelle governative tipo Agoudà, rigidamente ebree, a quelle anarco/queer come Black Laundry, dove convivono ebrei e arabi, che sfilavano al pride con lo striscione “Non c’è orgoglio nell’occupazione”.

Soldati israeliani al Pride di Gerusalemme

Bar e locali gay crescono come funghi un pò dappertutto e nel rispetto dell’organizzazione sociale/militare del Paese: in tutte le saune sono presenti, negli spogliatoi, anche gli armadietti per i fucili da cui i militari non possono mai separarsi. Il servizio militare è obbligatorio per uomini e donne ed ha una durata di tre anni, prolungabili. Non è raro infatti trovarsi a bere un drink o a ballare di fianco a bei ragazzi in canottiera con pistola nella fondina (e spesso è più grossa quella di tutto il resto, sic!) o fucile al collo.

Da circa un decennio Israele ha cominciato la costruzione del grande muro di separazione, condannato da Europa e dalla lega araba, che, spacciato come difesa, sancisce definitivamente il furto di terra operato ai danni dei palestinesi e li rinchiude in enormi campi di concentramento a cielo aperto da cui non possono uscire se non con il permesso degli stessi israeliani. Il muro non separa ma racchiude i terreni sotto occupazione, all’interno dei quali vengono costruiti insediamenti di coloni, in genere ultra ortodossi armati e sanguinari (e non c’è bisogno di dire che questo tipo di ebrei riserverebbe agli omosessuali lo stesso trattamento che da ai palestinesi: morte sicura con estremo dolore!) con la doppia funzione di controllo e di avamposto di occupazione. Superfluo sottolineare come tali insediamenti siano sempre nella vicinanza dei corsi d’acqua o nelle poche zone verdi, definitivamente sottratti ai palestinesi. Acqua che scarseggia talmente tanto da diventare un atto di estrema crudeltà quello dei coloni che si divertono a sparare le cisterne poste sulle case dei palestinesi, bidoni neri che raccolgono l’acqua piovana che viene riscaldata dai raggi del sole.

Soldati israeliani ad un check point con prigionieri arabi

Negli ultimi anni, l’omosessualità, oltre che arma fondamentale della propaganda, è diventata una delle più importanti voci di bilancio di Tel Aviv che ha investito molto per attirare turisti gay danarosi da tutto il mondo. La ricetta è semplice: bei maschioni in divisa, che certo non mancano in città, grande tolleranza e un numero sempre crescente di locali, discoteche, saune e manifestazioni gay. E questo è sicuramente vero. Sulla grande spiaggia che costeggia la città c’è un tratto di spiaggia, ai piedi dell’Hilton, prettamente gay, ma uomini e donne aperti e disponibili si trovano anche nel resto della spiaggia così come in tutta la città. Un’isola felice per il sesso e per il divertimento ma sconsiglio di mettere la testa fuori dai confini della città. A meno che non vi provochi nessun fastidio la vista di colonie floride e ricche, con bambini che giocano nei prati e i grandi che si dilettano nel tennis od in altri sport accerchiati da soldati e carri armati che li “difendono” dai migliai di bambini ed adulti che letteralmente muoioni di fame e ti inseguono con bottiglie di acqua sporca per vendertela come il bene più prezioso che hanno. Se avete uno stomaco forte e siete insensibili al dolore di un’intero popolo costretto nei più grandi lager del terzo millennio, allora Tel aviv è sicuramente la meta dei vostri sogni. Buon divertimento!

Massimo Mele
Massimo mele è stato in Israele e Palestina 6 volte, dal 2002 al 2007, come esponente di Queer for Peace, rete internazionale gay, lesbica, trans contro la guerra. Ha partecipato più volte al pride di Tel Aviv ed a quello, militarizzato, di Gerusalemme. Ha svolto attività di sostegno alle persone omosessuali nei territori occupati (Ramallah, Gaza, Nablus, Betlemme ecc.) ed è stato arrestato due volte dai militari israeliani. Ha incontrato esponenti delle organizzazioni GLBT israeliane come Agoudà, Black Laundry, Jerusalem Open House e partecipato al documentario italiano “Queer for peace, appunti dalla Palestina” ed a quello americano “City of borders”

Ecco un articolo dell’ANSA sull’argomento:

MO: Tel Aviv sempre piu’ gay-friendly, tabu’ diventa affare

Ma in Israele restano sacche di pregiudizio e violenze impunite

Gay Pride Tel Aviv

(di Virginia Di Marco) (ANSAmed) – TEL AVIV, 6 FEB – L’omosessualita’ a Tel Aviv non e’ un tabu’: e’ – sempre di piu’ – un business. Il ministero del Turismo israeliano lo ha capito da tempo, e in particolare negli ultimi tre anni ha messo a punto strategie di comunicazione ad hoc per consolidare la fama di Tel Aviv ”capitale gay-friendly del Medio Oriente”.

Sebbene non esistano statistiche ufficiali, stime approssimative dicono che la mossa stia pagando. E la notorieta’ a livello internazionale cresce. Lo scorso mese, quella che gia’ veniva soprannominata la ‘Barcellona israeliana’, in virtu’ dell’intensa movida notturna e dei tanti pick-up bar spuntati come funghi nell’ultimo decennio, ha conquistato anche il titolo di ‘Miglior citta’ emergente per i turisti gay’ in una competizione sponsorizzata da GayCities.com e American Airlines.

Tel Aviv, dove risiede in proporzione la seconda comunita’ omosessuale al mondo, dopo quella di San Francisco, ha battuto anche metropoli come New York, Berlino, Toronto.

Il sindaco laburista, Ron Huldai, si frega le mani soddisfatto: ”E’ la vittoria di una citta’ libera, dove ognuno puo’ sentirsi orgoglioso di se stesso”, ha commentato sul proprio profilo Facebook.

Del resto, combattere l’omofobia paga. Secondo Thomas Roth, presidente di Community Marketing (centro di ricerca con base a San Francisco, che si occupa nello specifico del mercato gay), ”il turismo arcobaleno contribuisce ormai per oltre il 10% all’industria del turismo israeliana, ed e’ un settore in crescita continua”.

A Tel Aviv non si contano i locali e le feste gay-friendly, o le spiagge dedicate; per strada o al mare, pochi si scandalizzano se vedono una coppia dello stesso sesso tenersi per mano o scambiarsi effusioni.

”Tel Aviv – aggiunge Adir Steiner, che ogni anno coordina la tradizionale e coloratissima parata Gay Pride locale, tanto lontana dalle tensioni della ‘identitaria’ Gerusalemme – ha un grande appeal perche’ e’ un’isola felice in una regione – il Medio Oriente – dove l’omosessualita’ suscita ancora reazioni diffuse di emarginazione e repressione”.

Militari israeliani per la propaganda gay

Israele stesso, se si eccettua la zona franca di Tel Aviv e dintorni, non fa in fondo del tutto eccezione. ”La nostra realta’, e ancor piu’ quella dei trans, e’ molto contraddittoria in questo Paese”, dice ad ANSAmed Shaul Gonen, attivista gay e membro di Agudah, ”unica associazione Glbt (gay, lesbiche, bisessuali e transgender) attiva in tutto il Medio Oriente”.

D’altronde, Gerusalemme e’ ad appena sessanta chilometri da Tel Aviv: e li’ ebrei ortodossi e arabi islamici osservanti rappresentano i due terzi dei circa 800mila abitanti. Per molti di loro ”l’omosessualita’ e’ una malattia, una perversione da reprimere”, come ammette Kobi Arieli, giornalista religioso convinto, ma di ampie vedute.

”Fra gli ebrei di rigida osservanza – rimarca – l’omosessualita’ e’ gravemente contraria alle leggi divine. Nella Torah sta scritto: ‘Non avrai con uomo relazioni come si hanno con donna’. E lo stesso vale per le relazioni lesbiche”.

Gay e lesbiche contro l'occupazione israeliana

Nei quartieri ultra-ortodossi, come in quelli arabi, intolleranza e discriminazioni sono frequenti. I ragazzi che trovano il coraggio di fare coming out sono di solito costretti a tagliare i ponti con la famiglia e la comunita’, e molti di loro finiscono in strada.

Persino a Tel Aviv resta impunita la macchia della ‘strage del 2010′, quando uno sconosciuto (mai identificato, al di la’ dei sospetti sollevati dalla polizia su uno squilibrato vicino agli ambienti dell’estrema destra nazionalista religiosa ebraica) fece irruzione in un centro di sostegno psicologico per giovani omosessuali nel centro della citta’, seminando la morte con un’arma automatica.

Un ricordo sanguinoso che sembra voler sottolineare come orgoglio (gay) e pregiudizio, in Israele, vadano ancora a braccetto. (ANSAmed).

 

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