Storia di Giovanni, 38 anni, sieropositivo.

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Di Massimo Mele il 28 Ottobre 2010. 1 Commento

Ci sono storie che vanno raccontate per permettere ad altri di riflettere. È a questo che ho pensato quando ho intervistato Giovanni, un ragazzo di trentotto anni che, poco più di un anno fa, ha scoperto di essere sieropositivo.
Per coloro che come me sono cresciuti negli anni ottanta con il terrore di questa malattia, spacciata, all’inizio, per una maledizione divina che colpiva solo gay e prostitute, il racconto di Giovanni è un insegnamento prezioso che abbatte, grazie al suo ottimismo e alla sua intelligenza, ogni barriera, e che, in qualche modo, ci fa riflettere sull’importanza della speranza. Purtroppo la società parla poco dell’HIV, le istituzioni, pressate dalla chiesa, si guardano bene dal promuovere una giusta e corretta educazione sessuale nelle scuole e le persone sieropositive, ancora troppo spesso, vengono discriminate. Ed è proprio la paura di essere visti come “appestati” che spinge molte persone che hanno contratto il virus (e, purtroppo, sono sempre di più) in qualche modo a nascondersi. Oggi sappiamo che l’HIV non fa discriminazioni in base alla razza, al sesso, alla religione o all’orientamento sessuale, è una malattia che riguarda l’intera società che potrebbe entrare, per sfortuna o per mancanza d’attenzione o per stupidità, anche nelle nostre vite.
Così come è entrata nella vita di Giovanni, un giorno come tanti altri, senza nessun preavviso, pronta a ridimensionare la vita e le abitudini, a ricordare quotidianamente la propria presenza.
La storia di questo ragazzo potrebbe essere tranquillamente la storia di altri milioni di persone e poco importa che Giovanni sia omosessuale, come ho già detto questo virus, come ogni altra malattia, non si pone il problema dell’orientamento sessuale tanto che, dagli ultimi dati, sembra che la maggior parte delle persone con HIV siano eterosessuali e, purtroppo, in maggioranza donne.
Quando ho cominciato a parlare con Giovanni mi sono trovato a conoscere un ragazzo sereno e ottimista, una persona che ha una propria quotidianità e che ha cercato di non cambiare le proprie abitudini. Ma soprattutto ho conosciuto una persona consapevole e che, dopo aver saputo di essere sieropositivo, ha cominciato a riflettere e ha deciso che, prima di tutto, doveva avere rispetto di sé e di coloro che gli stavano attorno e che non ha accettato l’idea che una malattia potesse, in qualche modo, spingerlo in un angolo autoescludendosi dalla società. Tutto questo e molto altro viene fuori dalla sua breve intervista che mette in evidenza anche come sia sbagliato pensare che le persone che hanno contratto il virus siano persone che, in qualche modo, hanno una vita ambigua o spregiudicata.
Come dicevo la sua storia somiglia a quella di molte altre persone. Giovanni è laureato, ha un lavoro, ora è single e vive da solo, ha degli amici, degli interessi, delle passioni. Un giorno ha incontrato un ragazzo che lo ha fatto stare bene, forse era amore o forse no, poco importa, ma era una persona con cui Giovanni aveva instaurato un rapporto particolare. Nessuno sa chi dei due fosse già sieropositivo, non siamo qui per scagliare pietre o per accusare qualcuno, sono cose che capitano, purtroppo, e sarebbe ipocrita dire che non è vero. È capitato ad ognuno di noi, penso, almeno una volta nella vita di avere rapporti non protetti con qualcuno. È stupido, lo so, proteggersi non costa nulla, non toglie niente al piacere o all’intensità del momento. Però capita, per quanto sciocco possa sembrare.
Dopo alcuni mesi che si frequentavano il compagno di Giovanni fa il test dell’HIV e risulta sieropositivo. Avverte subito Giovanni e, dopo diverse settimane, anche lui ha lo stesso risultato.
Giovanni ne prende atto, ha paura, come ne avrebbe chiunque, ne parla con le persone che gli vogliono bene, trova un po’ di conforto e fa l’unica cosa che può fare.
Andare avanti.
L’intervista che segue è prima di tutto una testimonianza che dovrebbe farci riflettere, che dovrebbe farci capire quanto sia importante non arrendersi mai.

1) Qual è stata la prima cosa a cui hai pensato quando hai appreso di essere sieropositivo?

Dipende. Credo che di aver avuto la consapevolezza di essere sieropositivo non tanto nel momento in cui, di fronte al medico con i risultati delle mie analisi in mano mi è stato dichiarato il mio stato di salute, bensì settimane prima, quando la persona che frequentavo da qualche mese mi ha comunicato di avere fatto il test dell’HIV e che era risultato positivo. Alla luce dei nostri comportamenti sessuali, stupidamente e incoscientemente non protetti, sarebbe stato sciocco da parte mia pensare che la mia condizione fosse diversa dalla sua. Quindi è stata più una conferma che una sorpresa e ho potuto in una certa misura abituarmi all’idea. In quei momenti sono tante le cose che ti passano per la testa. Inizialmente si è portati a pensare “di chi è la colpa? come e quando è potuto succedere? è colpa mia o e colpa sua? mi sono fidato della persona sbagliata? Come se puntare il dito verso qualcuno, trovare un colpevole, faccia sentire meglio o risolva il problema. Ma ci si accorge ben presto che non serve a nulla e non è di nessuna consolazione. Poi immediatamente dopo pensi alla tua famiglia, come e se dirlo. Nel mio caso non ho avuto dubbi; mia madre stava ancora attraversando un periodo di convalescenza dopo alcuni problemi di salute e non volevo aumentare la preoccupazione e l’ansia del momento. Il dolore che una notizia del genere avrebbe causato, accentuato anche da una certa “ignoranza” sull’argomento, sarebbe stato troppo grande e non avrebbe compreso la situazione. Purtroppo con le persone di una certa età, che hanno sempre vissuto nella realtà dei piccoli paesi di provincia, dove gli omosessuali vengono apostrofati “froci” o “ricchioni” o altri termini volgari e li si identifica con gli stereotipi che la televisione di oggi ci fornisce (vedi i vari Platinette, Malgioglio… ecc) e che credono ancora stupidamente che l’AIDS sia la malattia dei gay e dei tossicodipendenti, è difficile avere un dialogo.

2) Hai parlato con qualcuno di quanto ti è successo? Se sì come è stata la reazione delle persone a cui l’hai detto?

Sì, l’ho raccontato subito al mio migliore amico ancora prima di avere l’esito definitivo delle analisi del sangue, e successivamente a due amici e poi a una collega di lavoro. La loro reazione è stata di affettuoso sostegno e incoraggiamento a non abbattersi e guardare avanti con ottimismo per il futuro. Ma soprattutto il loro atteggiamento nei miei confronti, in quanto persone intelligenti e di cui sapevo di potermi fidare, non è minimamente mutato.

3) È cambiato il tuo modo di relazionarti agli altri (nell’amicizia, nel sesso, nell’amore)?

Personalmente no, sia nelle amicizie che nel sesso. Al momento sono single e come molti gay single, e non solo single a dire il vero, mi capita di fare sesso occasionale conoscendo persone in chat e ovviamente uso le dovute precauzioni, quindi da questo punto di vista non è cambiato nulla. Per quanto riguarda l’amore invece il discorso è diverso. Da quando ho scoperto di essere sieropositivo non ho ancora avuto l’occasione di innamorarmi e onestamente la cosa un po’ mi spaventa. Sarebbe molto più facile fidanzarmi con una persona nella mia stessa condizione per evitare di trovarmi nella situazione di dover confessare al mio partner il mio stato di salute e rischiare di essere rifiutato o chissà quale altra reazione. Ma non voglio nemmeno che l’essere sieropositivo sia l’unico elemento fondamentale, per convenienza, che mi unisca a un’altra persona.

4) Quali sono i principali cambiamenti nella tua quotidianità?

I primi giorni, dal punto di vista psicologico, ero in uno stato di disagio a stare in mezzo alla gente, al lavoro, nell’autobus al mattino per andare in ufficio, nei locali con gli amici, anche se dissimulavo molto bene. Io per primo mi sentivo un “untore”, un “appestato”, un diverso (in quanto sieropositivo) tra i diversi (in quanto gay). Avevo l’impressione di essere osservato e che guardandomi la gente capisse. Fortunatamente grazie al mio carattere tutto sommato ottimista questa fase è durata poco e il disagio è passato. Dal punto di vista pratico, quotidiano, per me non è cambiato nulla, se non nel fatto di essere in terapia e prendere medicine tutti i giorni. Fortunatamente il mio fisico risponde bene alla terapia e non ho avuto i tanto temuti effetti collaterali paventati dal mio medico e soprattutto raccontati da conoscenti che già ci erano passati, quindi la mia vita di tutti i giorni non ha subito cambiamenti.

5) Quali esami devi fare in un anno e quante medicine devi prendere?

Come tutti i sieropositivi devo tenere sotto controllo il virus nel mio sangue, gli anticorpi e il mio sistema immunitario. La prassi prevede un prelievo ogni tre mesi e dopo una decina di giorni un secondo incontro con il medico che mi segue per vedere insieme l’esito delle analisi. Sei mesi fa ho dovuto iniziare una terapia che mi obbliga ad assumere medicinali tre volte al giorno, per un totale di 5 pastiglie. Al momento sono in una fase iniziale della cura e quindi la somministrazione di medicinali andrà progressivamente diminuendo.

6) Credi che il mondo GLBT faccia abbastanza per contrastare e/o informare le persone sulle malattie sessualmente trasmissibili?

Secondo me sì. Il problema è che “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”! Ovvero l’informazione c’è ma il problema è un altro. Al di là di una certa ingenuità/ignoranza di chi pensa che certe cose capitino solo agli altri o si vedano solo in televisione, al fatto di fidarsi troppo delle persone, mi sono reso conto che, anche attraverso i racconti di miei amici, quando si tratta di sesso non si è disposti a scendere a compromessi nella ricerca del proprio piacere e l’uso del preservativo per molti è un ostacolo nel raggiungimento di questo obbiettivo. Sono sempre più le persone, single o coppie, in chat, discoteche, saune o darkroom che siano, a cui piace ed eccita di più fare sesso non protetto, e in molti casi, anche dopo aver contratto il virus, per alcune persone le abitudini sessuali non cambiano.

7) In generale credi che la società discrimini ancora le persone sieropositive?

Sì. Poco tempo fa ne parlavo con un’amica nonché collega di lavoro a cui ho raccontato di me. Lei in questo stesso anno ha dovuto affrontare un ciclo di chemioterapia e di radioterapia in seguito all’asportazione di un tumore al seno. La sua esperienza mi ha influenzato poiché, vedendo la sua forza d’animo e il suo ottimismo di fronte ai cambiamenti del suo corpo e al debilitarsi del suo fisico (fortunatamente temporanei) a seguito delle terapie, ha fatto crescere in me un maggior ottimismo nei confronti di una malattia tutto sommato al momento senza effetti così visivamente debilitanti se tenuta sotto controllo con le dovute cure. Ma la conclusione che ne è scaturita dalle nostre due esperienze è che malattie come i tumori suscitano nelle persone un sentimento di pietà e compassione verso chi ne è affetto a differenza dell’essere sieropositivo, poiché vieni considerato dalla maggioranza della gente un appestato, qualcosa da cui difendersi e allontanarsi.
Giorni fa in chat sono stato contattato da un ragazzo sieropositivo e in solo due messaggi mi aveva già raccontato tutti i suoi problemi degli ultimi mesi, tanta era la necessità e il bisogno di parlare con qualcuno che comprendesse, lamentandosi del fatto che dopo essersi confidato con un amico/collega di lavoro, questo lo aveva “sputtanato” non solo tra tutti gli amici ma anche sul posto di lavoro, capi compresi, e casualmente (per modo di dire) dopo poche settimane il suo contratto di lavoro che era in scadenza non è stato rinnovato ed ora si trova solo e senza lavoro.
Io sono stato fortunato, al momento non ho subito episodi di discriminazione, ma devo dire grazie all’intelligenza e all’affetto delle persone che mi circondano.

8 ) Qual è la tua principale speranza e quale, invece, la tua più grande paura legata alla tua condizione?

Ovviamente la speranza è che si arrivi presto a una cura, un vaccino, che debelli definitivamente questo male dal mondo. E sono abbastanza fiducioso che questo prima o poi avvenga. La mia paura invece, più personale, è legata all’incertezza del futuro, alla paura di non stare bene, di provare dolore, e soprattutto di non essere più autosufficiente o di dover dipendere dagli altri poiché sono sempre stato un tipo solitario e indipendente che si è sempre arrangiato senza contare troppo sugli altri.

Marino Buzzi

Giovedì 28 Ottobre da Perseo.blog

One Response to Storia di Giovanni, 38 anni, sieropositivo.

  1. tony   21 Agosto 2012 a 08:50

    Ciao Giovanni….io ho una storia un pò lunga da descrivere e quindi non la raccontero qui..(se vuoi saperla, mi contatterai “furfox@libero.it”… io non sono omosessuale…ma ho fatto varie volte sesso senza preservativo, non ho mai avuto sintomi prestabilite dalla lista dei sintomi…ultimamente ho fatto sesso con una stronza che si è messa in testa di rovinarmi.. perchè è da tempo che cerca di infliggermi con cose assurde..creandomi stati di depressioni e ansie….e inoltre la voglia di ucciderla.
    2 giorni fa, mi ha chaimato per infierire con le sue cose…e le spunto una candida vaginale..che non vuole cessare di smettere e di andare via…e visto che ha letto su internet che questa potrebbe essere un motivo di contagio…mi ha chiamato incolpandomi…che se le venuta una cosa del genere, la colpa è mia. E che mi vuole denunciare, perchè ha letto pure che in questi casi il risarcimento danni è di infiniti zeri. E’ da mente malata pensare solo a questo (considerando che ha problemi di psichaitria e psicologia)..oltre questa persona si può definire una donna di merda e una vipera. e non pensa che anche se fosse quei soldi non gli servirebbero più a niente..visto che dovrà morire….se cosi fosse.
    la denuncia può avvenire solo se il colpevole era consapevole e non l’abbia detto! considerendo che questa menata gli è avvenuta solo adesso, per trovare la scusa di incolparmi e per rubarmi dei soldi.Che bastarda… e vuole che io mi faccia pure il test. Io ho paura di fare il test..perchè se risulta negativo (magari) la distruggo con tanti di quegli avvocati…che la faccio deportare in esilio sul K2. Ma se risultasse positivo…sarebbe la mia fine. Inoltre sta puttana mi vuole denunciare senza prove…io non so se sono portatore, come non lo sò quando vi fu il rapporto…e da considerare che non usammo il pre..ma lei non fu costretta…anzi.
    E ora sono in uno stato di preallarme, ansia e depressione…e non so cosa fare. se andare da un avvocato per denunciarla di stalking e manie di persecuzione contro me..che mi odia e mi vuole vedere morto…non solo per questo fatto ma anche di altre cose avvenute…mannaggia a mè quando lo incontrata. E andare da un dottore e fare sto cazzo di test…perchè non è detto che lo contaggiata io..potrebbe anche essere il contrario…visto che lei dopo di mè a avuto altri e lal momento ha un altro. sinceramente ho la voglia…di decapitarla…e niente. scusami se ti ho detto ttutto questo. Ciao

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