SanreMOS: considerazioni a freddo

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Di Luisa Cutzu il 14 Febbraio 2022. Nessun commento

Aspettarsi che le considerazioni su Sanremo e i suoi retroscena si esauriscano col concludersi del Festival è oramai una specie di utopia in cui nessunə crede davvero più. Memes, commenti sui retroscena, video delle esibizioni più belle e più discusse, ospitate, inviti vari: c’è tutta una schiera di contenuti che continuano a circolare per settimane, una liturgia che ogni anno si compie e ogni anno ci accompagna anche a lunga distanza dalla chiusura dei lavori (e magari non sarete spettatorə fissə, ma non fate finta di non essere ancora lì a fare battute su Bugo). E, allora, eccoci qua a commentare a freddoi momenti più significativi, a rievocare le strabilianti emozioni che mamma RAI anche quest’anno ci ha regalato.

A detta di qualcunə Sanremo è diventato un’occasione per sfoggiare queerness, body positivity, femminismo, inclusività come se movimenti di pensieroe istanze identitarie si potessero unire in un unico calderone per essere sfoggiati all’occorrenza. A certə personaggə, neanche troppo velatamente in malafede, fa comodo agitare questi termini come pericolose bandiere da buttare nel miscuglio del cosiddetto politically correct: ogni volta che qualcunə si allontana di un millimetro da un modello normato e consolidato si corre subito a gridare alla dittatura ideologica (fa ridere, lo sappiamo) (e sì, qualcunə sostiene addirittura che senza essere rappresentantə di una qualsiasi delle categorie citate – che, per inciso, non sono categorie – non si possa vincere la gara canora). Esiste qualcosa di più intellettualmente disonesto? Forse. Ma, soprattutto, abbiamo davvero visto un Festival wannabe queer? Lo avremmo voluto? Ce lo aspettavamo? Da dove veniamo? Vediamo, intanto, cosa ha suscitato i nostri clamori.

INT. NOTTE – TEATRO ARISTON – FESTIVAL DI SANREMO
FLASHBACK

È il 2017 e i Måneskin arrivano secondi all’undicesima edizione di X-Factor: a vincere, quell’anno, è la voce rassicurante di Lorenzo Licitra e, se di quest’ultimo, nel frattempo, si sono perse le tracce, la band romana ha invece iniziato una scalata verso un successo internazionale. Nel 2021 partecipano per la prima volta al Festival di Sanremo con il brano Zitti e buoni e, dopo aver fatto ballare il pubblico notoriamente âgée del teatro Ariston, si portano a casa la vittoria nonché il biglietto di sola andata per l’Eurovision Song Contest. Il loro sound travolgente, la loro capacità di tenere il palco ma, soprattutto, il loro atteggiamento fuori dagli schemi, gli permette di classificarsi anche in questa occasione al primo posto.
Da questo momento, la fama internazionale li investe completamente: nel 2021 aprono il concerto dei Rolling Stones; nello stesso anno sono ospiti al Tonight Show di Jimmy Fallon, all’Ellen DeGeneres Show e nel 2022 si esibiscono al Saturday Night Live.
Ciò che, poi, colpisce delle loro numerose esibizioni è anche il modo di utilizzare la performance artistica per comunicare un posizionamento politico. Pensiamo ad esempio all’abbigliamento glam che richiama una certa opposizione agli stereotipi di genere; oppure pensiamo a quel bacio gay messo in scena in Polonia per dare appoggio alle persone LGBTQ+ in un paese che le opprime.

FINE FLASHBACK

Il busto di Damiano

L’ascesa verso il successo non ha compromesso la loro spontaneità, emersa anche durante questa edizione di Sanremo: Damiano, il frontman della band, si commuove senza imbarazzo dopo il pezzo dedicato alla sua ragazza, che soffre di vulvodinia e endometriosi. In un mondo che, ancora oggi, costringe gli uomini a trattenere le lacrime per non tradire le aspettative del patriarcato, un ragazzo di 23 anni ha mostrato tutta la sua emozione in un pianto carico di gratitudine. Un gesto piccolo ma genuino che dimostra quanto sia semplice scalfire costrutti culturali e stereotipi di genere.

Chi invece sembra non avere più nulla di genuino è Achille Lauro. Il suo percorso all’interno del Festival è iniziato nel 2019 con Rolls Royce, anno in cui la sua carica dirompente è stata percepita come una vera novità. Nel 2020, poi, il cantante sfoggia diversi outfit, ispirati a personaggi come San Francesco d’Assisi e Elisabetta I d’Inghilterra, con cui sembra voler sfondare un muro di pudore e rigore tipicamente sanremese. Lauro, a ben vedere, non fa nulla di nuovo e anzi, il suo mettere in discussione i ruoli di genere non ha niente di spontaneo se dietro c’è la grande macchina della moda targata Gucci. Nel 2021 si è calato di nuovo nei panni di vari personaggi ma questi spettacoli avevano un sentore di già visto e di ormai prevedibile. Anche quest’anno, durante la prima serata, quell’autobattezzarsi, che tanto ha fatto storcere il naso e discutere vescovi e politici filo-cattolici, non ha colpito e non ha raggiunto l’intento trasgressivo a cui puntava. Non possiamo dire con assoluta certezza che Lauro in questi anni abbia cercato di veicolare messaggi politici attraverso la sua arte, ma se inizialmente stupiva per la sua irriverenza dopo poco si è rivelato un personaggio in balia di progetti più ampi, un modello al servizio della moda che con il ruolo dell’artista impegnato ha poco da spartire.

Un intento politico più forte arriva invece da Emma Marrone e Francesca Michielin. Le due cantanti sono salite insieme sul palco di Sanremo, ma non per duettare: Michielin, infatti, è stata chiamata a fare da direttrice d’orchestra (sembra ieri che a Sanremo si discuteva se è meglio dire direttrice o direttore nel caso in cui il ruolo sia ricoperto da una donna…). La canzone di Emma Marrone, Ogni volta è così, parla di una relazione tra un uomo e una donna che giunge al termine, ma l’accento è posto sui giudizi che ogni donna subisce per il suo comportamento. «Siamo sante o puttane» risuona forte e chiaro e arriva potente grazie alla voce graffiante della cantante fiorentina. Mentre canta sul palco, Emma unisce le mani e solleva alto il simbolo legato al movimento femminista (il triangolo che simboleggia la vagina) per sottolineare il suo posizionamento ideologico.
La presenza di Michielin alla direzione dell’orchestra ha fatto tanto discutere ma in realtà la giovane artista ha tutte le carte in regola per ricoprire quel ruolo.
L’impegno femminista delle due cantanti, comunque, non è una novità: entrambe, infatti, si muovono agevolmente sui principali social che usano per promuovere istanze egualitarie; basti pensare, ad esempio, a Francesca Michielin che tiene un podcast nel quale affronta tematiche legate alle lotte che le donne devono affrontare ancora oggi; oppure pensiamo al recentissimo episodio che ha visto coinvolta Emma Marrone che, davanti a una critica legata al suo abbigliamento durante il Festival, non ha esitato a ribadire così: “Buongiorno a tutti dal Medioevo. Poi il body shaming con il linguaggio politically correct, non so se sia più imbarazzante o noioso. Mi rivolgo soprattutto alle ragazze giovanissime. Evitate di ascoltare e leggere commenti del genere, il vostro corpo è perfetto così com’è, dovete amarlo e rispettarlo e soprattutto vi dovete vestire come vi pare. Sia che abbiate le gambe importanti o meno. Anzi, con le calze a rete abbinate anche una bella minigonna e mostratele queste gambe importanti. Non si può più stare zitti davanti al fatto che chiunque possa parlare di un’altra persona, in un modo così scorretto”. Ok Emma, ci sei piaciuta.

Dal body shaming arrivato a kermesse conclusa, facciamo un passo indietro e torniamo agli argomenti spinosi trattati sul palco. I vari monologhi affrontati dalle donne che si sono alternate al fianco di Amadeus hanno fatto tutti discutere, in positivo o in negativo. Chiara Giannetta, nel corso della quarta serata, ha messo in mostra il lato più subdolo dell’abilismo: l’inspiration porn. Di cosa si tratta? Presto detto: «la rappresentazione delle persone disabili come fonte di ispirazione derivante esclusivamente o in parte dalla loro disabilità*».
Giannetta, attrice di cinema e fiction, ha portato sul palco di Sanremo tre persone ipovedenti per raccontare come si è preparata per interpretare una personaggia cieca nella nuova serie tv RAI, Blanca. Ha raccontato la quotidianità di queste persone trasformando in qualcosa di straordinario tutto ciò che in realtà loro vivono come ordinario. Nessuna di queste persone ha parlato di sé ma la narrazione della loro esistenza è stata affidata all’unica persona abile sul palco.
Le critiche non hanno tardato ad arrivare e, oltre all’inspiration porn, il focus si è concentrato su un argomento interessante: come è possibile che, ancora nel 2022, la rappresentazione al cinema e in televisione delle persone con disabilità sia affidata a persone abili che non possono neanche lontanamente immaginare cosa significhi. Passi avanti, in questo senso, sono stati fatti con le persone LGBTQ+ che stanno riuscendo finalmente a trovare il giusto spazio di rappresentazione. Le discriminazioni sistematiche che le persone con disabilità sono costrette a subire quotidianamente sono un argomento del quale, evidentemente, si parla ancora troppo poco. Prendere atto di quanto la nostra cultura sia abilista è fondamentale e necessario. Non possiamo più utilizzare la disabilità come strumento per sentirci più forti e in grado di superare le nostre difficoltà perché «se loro ce l’hanno fatta, puoi farcela anche tu». Uno scivolone grande, quello di Giannetta, che dopo il monologo è apparsa triste e defilata: che abbia letto qualche critica dietro le quinte? Non possiamo dirlo con certezza, ma speriamo che sia servito per suscitare un pensiero critico più accurato. 

Impossibile non sentire un moto di italianissimo orgoglio nel vedere la divisa dell’arma dei carabinieri fare il suo ingresso trionfale sul palco: Martina Pigliapoco, durante la terza serata, viene invitata a sostenere un breve dialogo con Amadeus. La carabiniera lo scorso ottobre è intervenuta in soccorso di una donna di cui, per privacy, non sappiamo nome e cognome ma solo che è una mamma, impedendole di commettere suicidio. Si è deciso, perciò, che fosse argomento da discutere sul palco dell’Ariston. Il feticismo qui non si limita allo spettacolarizzare una vicenda complessa e dolorosa come un tentato suicidio, ma include tutta la retorica sulle doti eroiche di chi ha compiuto il salvataggio (cui viene richiesta una presenza in rassicurante divisa) e sulla storia drammatica e drammatizzata della controparte. Premesso che siamo felici della lieta risoluzione della vicenda, e che non togliamo alcun riconoscimento a Martina Pigliapoco, non si riesce a capire cosa spinga la direzione artistica di una gara canora a indugiare su una vicenda di questo tipo se non il desiderio di ottenere facili ascolti. E va bene che è Sanremo, ma il melodramma a scapito deə prossimə non riusciamo proprio a evitarlo? E dunque: nessuna sorpresa.

È anche il Festival in cui le donne sono bellissime e sorridenti, qualità che non possono mancare al gentil sesso. Durante la finale Le Farfalle, ad esempio, le atlete della nazionale di ginnastica dell’aeronautica militare, non si sono semplicemente esibite in una performance atletica ma hanno soprattutto «portato sul palco il loro sorriso e la loro gioia». Martina Centofanti, Agnese Duranti, Alessia Maurelli, Daniela Mogurean e Martina Santandrea, dopo l’esibizione, vengono congedate con fiori e complimenti per i loro splendidi sorrisi. Viene naturalmente da chiedersi come mai Le Farfalle vengano presentate come bellissime e sorridenti mentre commenti simili non vengano fatti a Marco Berrettini, anche lui atleta, anche lui sul palco (è forse poco etero un commento così tra uomini, Amadeus? O è proprio lo spasmo incontenibile di commentare i corpi delle donne? Dov’è la queerness che ci avevate promessa?). È anche possibile, però, che Berrettini o il suo sorriso non siano splendidi e che Amadeus gli abbia usato una cortesia non commentando. 

Ma non è giusto, ora, indugiare su queste questioni: le donne presenti sul palco sono state valorizzate per le loro competenze e se ogni tanto è scappato qualche commento sull’aspetto fisico non può che aver fatto loro piacere. Non si possono mica mostrare solo bravura e competenza, come sottolinea Zalone che, a proposito di donne e Ariston, rimprovera Amadeus per la totale assenza di qualche donnetta stupida da mettere a contorno per il puro piacere del pubblico. Riesce difficile accettare che un’ironia così appropriata e mirata, dove lo stereotipo è estremizzato per mostrarne la sua problematicità, non abbia accompagnato il comico anche nella stesura del monologo sulla Cenerentola contemporanea. Un vero peccato che Zalone, tra uno scivolone e l’altro, abbia restituito uno scenario in cui l’italiano medio sarà pure preso di mira nella sua ipocrisia, ma a rendere possibile questa narrazione è il sottofondo transfobico che vuole le persone trans come oggetti di derisione o di feticismo sessuale. Tolti questi elementi nella descrizione della persona trans, in cui lo stereotipo non è, poi, ribaltato dalla sua estremizzazione ma confermato nell’epilogo del monologo, viene semplicemente a mancare tutto l’assetto comico dello sketch. Ci chiediamo se sia davvero così difficile pensare prima di aprire bocca e veicolare odio e pregiudizi. Non sarà il ruolo del comico, magari, quello di fare sensibilizzazione (per usare una dicitura controversa che ricorre ogni volta che si prende la parola in materia di diritti civili basilari) o di preoccuparsi delle reazioni del suo pubblico ma è possibile che comunque a Zalone interessi ancora non fare sketch fallimentari. Se non altro per questo, un invito a una maggiore consapevolezza sarebbe da cogliere.

E in merito alle competenze che dovrebbero essere a fondamento di qualunque discorso, pubblico e non, Sabrina Ferilli stupisce con un intervento che sul palco dell’Ariston non è scontato, scritto per l’occasione da Selvaggia Lucarelli che dichiara di aver solo tradotto i pensieri dell’attrice. Ferilli rinuncia a fare il solito discorso motivazionale e ispirazionale che va particolarmente in voga sia al Festival, sia nei contesti televisivi in generale, e sottolinea come sia opportuno prendere la parola in merito a questioni cosiddette problematiche, cui fa precisi riferimenti, solo se si è veramente coscienti e consapevoli di quanto si sta trattando. Certo, non sfugge che il non faccio il discorso è esso stesso il discorso, ma che si veicoli un invito a una maggiore cognizione di causa è sempre apprezzabile.

In vari piccoli discorsi e un monologo si è profusa, con successo, anche Drusilla Foer, co-conduttrice durante la terza serata. La sua bravura era già ampiamente nota, e anche se il suo intervento più corposo è stato ingiustamente relegato negli ultimi minuti della trasmissione, all’una di notte, questo non le ha impedito di raggiungere un vasto pubblico (complici anche le ricondivisioni sui social). Il suo monologo avrebbe meritato certamente un’attenzione e una risonanza maggiori; non è semplice, infatti, non scadere nei sentimentalismi quando sembra che un’intera trasmissione si aspetti da te un intervento strappalacrime. Foer, con una delicatezza che sarebbe bello facesse scuola, ha saputo riportare l’attenzione dell’audience sull’importanza di imparare ad ascoltare profondamente il mondo e le individualità che lo abitano. Mettersi in ascolto, accogliere le unicità altrui, è l’unico modo per evitare di esprimere giudizi o attaccare etichette su qualcosa che viene trattato come fosse un trend quando, invece, si tratta di vite, di persone, che non ci si è sforzatə davvero di capire. Grazie, Drusilla, per averci mostrato la tua unicità.

Che dire, infine, dei vincitori? Mahmood e Blanco con Brividi conquistano subito il primo posto e, fatta eccezione per la seconda serata, lo mantengono fino alla fine. Almeno con loro questa millantata queerness l’abbiamo vista? Sì e no, e ne siamo felici. Siamo felici che non abbiano svenduto la loro esibizione con qualche marchetta alla Lauro, che ha perso ormai ogni credibilità, e che, in linea coi temi della loro canzone, i due cantanti si siano mostrati sì in sintonia, sì affiatati e coinvolti sullo sfondo di una tensione omoerotica palpabile, ma mai in una parodia di cosa dovrebbe essere una relazione omosessuale. Certo, si tratta pur sempre di un’esibizione e non si può fingere che non esista l’elemento finzionale e performativo ma quanto di più onesto si potesse mostrare era proprio la genuinità di due ragazzi che (indipendentemente da quello che nella loro vita privata è il loro orientamento sessuale) ci hanno mostrato come tenerezza ed erotismo appartengano a tuttə. Non possiamo, di contro, dimenticare che in diverse occasioni Mahmood ha preso pubblicamente delle posizioni problematiche in riferimento a quella che i media continuano a chiamare comunità LGBTQ+ (non che sia un errore in toto ma, da tempo, ci si è spostati sul meno ghettizante persone LGBTQ+), come quando, ad esempio, dichiarò che il coming out rischia solo di diventare il momento in cui a una persona viene attribuita un’etichetta, o quando dai proventi di un’asta devolse il ricavato a MOIGE, associazione che in più occasioni ha preso posizioni apertamente omofobiche. Siamo molto felici all’idea che il cantante milanese non abbia dovuto rivendicare la sua identità, comprendiamo il desiderio di scongiurare il rischio di diventare solo un’etichetta. Sappiamo, e capiamo, molto bene che quanto si dice in pubblico non necessariamente corrisponde all’esperienza privata o che, comunque, una dichiarazione di questo tipo non sottende in alcun modo che il vissuto di Mahmood sia necessariamente stato rose e fiori. Ma il punto è esattamente questo: in una società che si comporta come se l’unica esistenza possibile sia quella che rientra nei canoni eterocisnormati, non si può, ancora, fare finta che il coming out non sia un’importante rivendicazione identitaria e politica, un momento di altissima rilevanza nella vita di una persona LGBTQ+. Non significa che tuttə siano tenutə ad agire in questi termini ma nemmeno che se ne debba derubricare l’importanza. Fa certo anche piacere notare come il cantante non abbia mai fatto mistero della sua identità (e ci mancherebbe! verrà magari da dire a qualcunə ma, sarà pure ridondante ripeterlo, non è affatto scontato). Sembra quasi un caso in cui si predica male ma si razzola quasi bene.

TITOLI DI CODA

La queerness come la intendono certə personaggə che gridano all’ IdEoLoGiIiA GeNdEr, per fortuna, non l’abbiamo vista. Ci ha fatto storcere il naso il consueto trash ispirazionale che chiama in causa argomenti di altissima importanza come il razzismo, il sessismo e li tratta con la stessa profondità con cui si affronterebbe una conversazione al bar: male. Abbiamo visto qualche barlume di speranza? Piccolo, molto piccolo. Meglio di niente (?). Il carrozzone sanremese rimane comunque uno degli appuntamenti più importanti della cultura trash-pop del nostro Paese ed è innegabile che ciò che accade in quei cinque giorni influenzi la nostra quotidianità per parecchio tempo.
Nel bene e nel male, anche quest’anno, il Festival ci ha fatto venire i brividi.

Con la testa, con il cuore, (e con il culo) ciao ciao.

Luisa Cutzu & Roberta Passaghe

POST CREDIT

Nel 1994 Elton John e Ru Paul (sì, la stessa persona di Ru Paul’s Drag Race) si sono esibiti sul palco di Sanremo. Raggiungeremo nuovamente quel grado di queerness? Chi lo sa.

*da Anche questo è femminismo, a cura di Biancamaria Furci e Alessandra Vescio

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