Ritratto della giovane in fiamme

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Di Luisa Cutzu il 6 Agosto 2020. Nessun commento

Il mito di Orfeo ed Euridice è ben noto. I due giovani innamorati, improvvisamente, non possono più vivere il loro sentimento: Euridice viene infatti morsa da un serpente e muore. Orfeo, disperato, decide di scendere negli Inferi per poterla riportare in vita. Grazie alla sua musica, riesce a convincere Persefone che gli concede di tornare nel mondo dei vivi insieme a Euridice, ma a una condizione: non deve voltarsi a guardarla fino a quando non saranno fuori dagli Inferi. I due si incamminano, ma quando ormai sono quasi giunti al termine del viaggio, Orfeo si volta per guardare finalmente la sua amata che tuttavia scompare per sempre. Ritratto della giovane in fiamme si lascia guidare dal mito greco e fa dello sguardo la colonna portante di tutta la storia narrata.

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Ritratto della giovane in fiamme (Portrait de la jeune fille en feu, 2019) è stato scritto e diretto da Céline Sciamma. Presentato in concorso a Cannes, vince il Prix du Scénario. Il film, ambientato in Francia nel 1770, racconta la storia di Marianne (Noémie Merlant), giovane pittrice, che riceve l’incarico di realizzare il ritratto di nozze di Héloise (Adèle Haenel). È la madre di quest’ultima (interpretata da Valeria Golino) a ingaggiare la pittrice, alla quale però viene richiesto un compito più arduo del semplice dipingere: Héloise, infatti, si rifiuta di essere ritratta perché non vuole sposarsi; Marianne è quindi costretta a disegnare di nascosto la sera, affidandosi ai ricordi della giovane impressi nella sua memoria. Le due donne si trovano perciò a trascorrere diverso tempo insieme, e questo permette loro di conoscersi profondamente e di entrare in sintonia.
Le fiamme del titolo, che tornano spesso durante la pellicola, fanno però riferimento a tutt’altro: non è (solo) il fuoco che brucia durante il rito pagano per far abortire la domestica; non sono (forse) neanche le fiamme che avvolgono la prima versione del ritratto. Si tratta del rogo del desiderio e della passione che brucia in entrambi gli animi delle protagoniste. 

Come accennato all’inizio, il parallelismo con il mito di Orfeo si evince fin dai primi minuti del film: Héloise conquista un momento di libertà e corre verso il mare mentre Marianne corre dietro di lei; non conosciamo il volto di Héloise, vediamo solo le sue spalle, e lo facciamo attraverso il punto di vista di Marianne, che in quel caso coincide con il punto di vista di Euridice. Il desiderio che la donna si volti è sempre crescente, sentiamo l’urgenza di dare un volto a quella figura della quale inizialmente ci è concessa solo la nuca. Vogliamo uno sguardo, lo bramiamo, anche a costo di scomparire per sempre.

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Ritratto è un film interamente costruito su sguardi che riempiono la scena laddove la non parola ha lasciato un vuoto. Lo sguardo di Sciamma ordisce una trama che mostra lo sguardo di Marianne mentre “costruisce” la rappresentazione di Héloise. L’attento osservarsi reciproco, nel corso del film, rende le due donne materia viva, le forma e le definisce e le spinge finalmente al contatto. Come Orfeo che, voltandosi, riesce per un’ultima volta a guardare la sua amata consolidandone il ricordo, così Marianne osserva con attenzione ogni dettaglio della giovane per poter realizzare un dipinto costruito, inizialmente, proprio sul ricordo.

L’atto del guardare, come detto, sottrae tempo al dialogo del quale però non sentiamo la mancanza. È il silenzio, infatti, che alimenta un desiderio palese fin dalle prime battute. A poco serve il dialogo tra le due, quando si domandano a vicenda quale sia stato il momento in cui hanno sentito la prima spinta dell’attrazione. La risposta che danno è simbolica, falsamente indicativa di qualcosa, perché quello che c’è tra loro è come se esistesse ancora prima, in un tempo e uno spazio che non conosciamo, antecedente ai fatti narrati. Questo sentimento rimane latente fino a quando non si creano le giuste condizioni affinché possa finalmente manifestarsi, concretizzandosi con il loro graduale avvicinamento.

Le due donne sono complementari: una esiste se l’altra le sta accanto. In questo senso, le figure maschili giocano un ruolo del tutto marginale: l’uomo, in quanto essere di sesso maschile, è rimosso come presenza fisica ma non come presenza esistente. Il maschio è relegato al regno del profilmico, non gli è concessa la scena perché ne viene riconosciuta la potenza castrante. Non è un caso che l’unico uomo in scena (oltre ai marinai che all’inizio accompagnano Marianne nella tenuta) sia il facchino che, con quattro colpi di martello, ingabbia il ritratto di Héloise ridimensionando improvvisamente quella libertà di essere e di esistere che fino a quel momento le era concessa. L’assenza di figure maschili annulla quel culturalmente accettato autoritarismo patriarcale che avrebbe posto le donne in posizione subalterna; le personagge si ritrovano, invece, a vivere un rapporto paritario e armonico dove anche la domestica non viene mai percepita inferiore.

Come Orfeo che voltandosi osserva Euridice per un’ultima volta fissandone i tratti in eterno, così le due donne costruiscono nella memoria il ricordo dell’amata; imbastiscono e fortificano un’immagine quanto più dettagliata perché sono consapevoli della durata effimera della relazione. Sul finale, ormai costrette a separarsi, si rivolgono un ultimo sguardo prima dell’addio: all’abbandono fisico segue tuttavia la certezza che, attraverso il ricordo, l’una sedimenterà in eterno nel cuore dell’altra.

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