Relazione della Lega Italiana per Lotta contro l’Aids – LILA

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Di Massimo Mele il 26 Settembre 2010. Nessun commento

Il sistema carcerario italiano è al collasso, il sovraffollamento è a livelli ormai insostenibili. Gli istituti penitenziari, che dovrebbero servire alla rieducazione e al reinserimento sociale, producono solo disperazione e suicidi. A nulla è servita neppure la ben nota mozione della Commissione Europea, dove si sottolinea l’inosservanza dei principi umani fondamentali da parte dell’Italia.
Tutto ciò produce gravi ripercussioni sulla salute dei detenuti e degli operatori delle carceri, soprattutto in tema di patologie gravi, tra le quali l’infezione da Hiv.
La tutela dei diritti umani, soprattutto delle popolazioni più vulnerabili, è stato il tema principale dell’ultima Conferenza mondiale sull’Aids, che si è svolta a Vienna a luglio. L’impegno delle nazioni a contrastare il propagarsi dell’epidemia di Hiv, come è stato più volte ribadito in numerose sessioni dedicate, passa anche per l’attuazione di precise politiche di prevenzione e di riduzione del danno nelle carceri. La fornitura di strumenti quali i preservativi e le siringhe sterili è fondamentale, come sancito in numerosi documenti ufficiali della Commissione europea, dell’Organizzazione mondiale della Sanità e dell’Onu (Unaids e Unodc). Tanto più, aggiungiamo noi, nella situazione
italiana, dove il sovraffollamento è dovuto anche se non soprattutto all’incarcerazione sistematica di persone tossicodipendenti, che avrebbero bisogno più di essere curate che internate.
La Lila aveva espresso la propria preoccupazione su questo problema ancor prima della Conferenza mondiale, inviando a gennaio una lettera al ministro della Salute Ferruccio Fazio, per chiedere che anche in Italia siano messe in atto tali strategie negli istituti penitenziari. Strategie che riguardano il diritto alla salute di tutti i detenuti, che già hanno dato ottimi e documentati risultati dove sono state avviate e implementate, a cominciare da Spagna e Svizzera (sono circa 60 i Paesi nel mondo che hanno tali programmi, compreso l’Iran), e perciò sostenute dagli organismi internazionali, ma che difficilmente trovano cittadinanza nel dibattito politico italiano sul carcere.
Insomma il clima è sempre più esasperante, con celle che contengono il doppio e il triplo dei detenuti previsti, con una situazione igienico sanitaria estrema, mentre mancano le cose essenziali, dalla carta igienica all’acqua calda. Le persone sieropositive sono quelle che pagano maggiormente questa situazione, per loro, oltre alla carenza di cure, dovuta anche alla mancanza di personale
penitenziario che le accompagni in ospedale, esiste il rischio di contrarre alcune malattie che per le persone con Hiv diventano letali, ricordiamo solo poco tempo fa la morte di una detenuta nella sezione femminile del carcere di Rebibbia per una banale varicella. E non pochi, nella drammatica lista dei decessi che si registrano ogni anno nelle carceri italiane, erano detenuti sieropositivi (almeno sei in sei mesi, in aprile ci furono due decessi di persone con Hiv nel giro di quattro giorni!).
Quante siano le persone sieropositive detenute non lo sappiamo. Studi recenti, l’ultimo a cura dell’Istituto superiore di Sanità, parlano di una prevalenza del 7,5 per cento, è un dato molto alto, ma ciò non pare smuovere alcuna coscienza politica. Negli anni Novanta oltre la metà dei detenuti si sottoponeva al test Hiv, oggi questa percentuale è drammaticamente crollata fino a meno di un terzo.
La Lila non accetta ipotesi sciagurate quale l’obbligatorietà del test, che può essere avanzata solo da chi ignori i principi costituzionali e i pericoli (per la salute pubblica) diun tale approccio, che tutti gli organismi internazionali sconsigliano, ma non può non sottolineare anche questa carenza in ambito di prevenzione.
A chi voglia ribattere che negli anni Novanta la percentuale di persone con Hiv in carcere era del 10 per cento (dato del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria), rispondiamo che allora non c’era l’affollamento di oggi: il calo ci sarebbe in termini relativi, ma non assoluti, visto che il 10 per cento di 20mila non è il 7,5 per cento di 70mila, ovvero l’ammontare della popolazione carceraria di oggi.
Intanto ci sono persone detenute che stanno molto male, che non solo vivono con l’Hiv ma hanno già sviluppato l’Aids, e che spesso hanno altre gravi patologie correlate quali tumori ed epatiti. La legge aveva previsto l’incompatibilità tra Aids e detenzione, ma ormai più di quindici anni fa è stata resa inutile (strumentalizzando i reati della cosiddetta “banda dell’Aids”) e mai più presa in considerazione. E tutt’ora un detenuto in Aids deve attendere la firma di un magistrato e non di un medico affinché possa evitare di morire in una cella malsana e affollata. Ma anche per chi ha l’infezione da HIV la situazione è difficile. Molti penitenziari, nonostante il DPCM 1 aprile 2008 sia stato pubblicato due anni fa, non sono in grado di garantire cure e assistenza adeguati a una persona con HIV come previsto.
Cambi e sospensioni di terapie antiretrovirali sono all’ordine del giorno, nonostante sia risaputo che questo ha un impatto molto negativo sull’efficacia della cura e soprattutto sula salute della persona trattata, e in molte carceri non vi sono medici infettivologi
perché fortissimi sono i ritardi e le resistenze al trasferimento del Sistema sanitario penitenziario al Sistema sanitario nazionale, e non vengono stipulate le convenzioni con i reparti di Malattie infettive.
La prevenzione in carcere di Hiv e altre patologie trasmissibili (tubercolosi, epatiti) tramite condom e aghi sterili non è fantascienza, e l’evidenza della sua efficacia è ampiamente documentata. Così come è nota l’importanza di controlli specialistici e la disponibilità di terapie antiretrovirali. Anche l’Italia, dove la maggioranza delle persone detenute è tossicodipendente, deve prendere atto di tale evidenza, procedendo almeno con una valutazione della reale dimensione del problema sanitario in
carcere, in riferimento all’Hiv/Aids e non solo. Anche in Italia le persone detenute devono avere accesso alla medesima assistenza sanitaria cui hanno diritto tutti gli altri cittadini.
Il diritto alla salute è un Diritto umano. E vale per tutti, anche per i detenuti

Relazione della Lega Italiana per Lotta contro l’Aids – LILA per
Audizione alla Camera del 23 settembre 2010 sulla situazione degli
istituti penitenziari , II Commissione (Giustizia)

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