Nome di battaglia LILA

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Di Luisa Cutzu il 1 Dicembre 2020. Nessun commento

Nel mese di aprile, a poche settimane dall’inizio della pandemia – o meglio, a poche settimane dall’arrivo dell’ondata virale verso il fronte occidentale – tante persone hanno cominciato a notare alcuni punti di contatto con l’epidemia dell’HIV accaduta nel corso degli anni ’80.

Le similitudini tra le due situazioni non sono di certo da ricercare nelle caratteristiche mediche o scientifiche, quanto più nell’impatto culturale che esse hanno avuto.

Un articolo apparso su Wired (1) il 31 marzo cercava di fare il punto su queste analogie attraverso un intervista a Pigi Mazzoli, sieropositivo dal 1987. Una sua frase colpisce in maniera particolare «Solo la paura di morire è uguale a quella di ieri, tutto il resto è diverso». La paura di poter contrarre la malattia e il terrore veicolato dall’opinione pubblica è uno dei primi fili che lega il nostro presente ad un passato non troppo lontano. 

Un altro aspetto che sembra unire le due situazione è la colpa. Negli anni ’80, infatti, prendersi l’AIDS era un colpa, una punizione per una condotta di vita lasciva e deplorevole; era il morbo dei gay. Molti di coloro che contraevano il virus provavano sopratutto vergogna. Chi si ammalava veniva individuato come untore e tenuto alla larga. Anche oggi, sin dai primi tempi della diffusione del virus, si è assistito a una feroce caccia all’untore declinata in diverse maniere, dal runner in primavera al giovane discotecaro dei mesi estivi.

È in questo regime di somiglianze che il documentario Nome di battaglia LILA non solo ci restituisce un quadro accurato del lavoro svolto dalla LILA dalle origini a oggi, ma risuona ancora più attuale con uno sguardo proiettato verso il futuro.

Realizzato dal regista milanese Simone Pera, prodotto da LILA Nazionale Onlus in collaborazione con LILA Bologna, il film racconta la nascita dell’Associazione – avvenuta nel gennaio del 1987 – e ripercorre tutte le tappe più significative della lotta all’AIDS sul territorio nazionale attraverso l’alternarsi di immagini di repertorio e interviste.

Alcuni slogan dell’epoca riecheggiano ancora nella nostra memoria, anche in quella di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona; si tratta infatti di un “immaginario cristallizzato”, così come viene definito nel corso del documentario da Cristina Perone, spesso caratterizzato da informazioni manchevoli se non addirittura errate. Un aspetto che deve spingerci verso la ricerca di informazioni corrette, da fonti attendibili, perché sebbene quelle immagini siano diventate così familiari, l’AIDS è ancora un tabù ed è nel silenzio che la diffusione trova il suo terreno più fertile. In questo contesto di buio, il documentario getta una luce per trovare la giusta strada da percorrere nel futuro. 

Il documentario è visibile al seguente link:

https://www.lila.it/it/iniziative/1388-nome-di-battaglia-lila

(1) Articolo Wired: https://www.wired.it/attualita/politica/2020/03/31/coronavirus-pandemia-reduce-aids-hiv/?fbclid=IwAR23mrqyGlp6KSgPJClMvbbvV8OsRkuzyChvJIRDbVWRUoLHLExmuDrdwdo&refresh_ce=

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