Meglio un puttaniere che si compra l’indulgenza o un cattolico rispettoso dei diritti?

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Di Massimo Mele il 23 Febbraio 2011. Nessun commento

Continua nel mondo cattolico il confronto sulla “coerenza”, ovvero sulla totale disparità fra morale pubblica e privata dei cattolici e dei loro rappresentanti politici.

Bagnasco e Berlusconi

Il caso Ruby – tra le altre cose – si sta dimostrando un ottimo campo d’esercizio per una categoria che definirei senza offesa i «sofisti cattolici». Ovvero i credenti che fanno compiere i salti mortali alle parole e alle idee pur di mantenerle (apparentemente) in equilibrio sul filo della coerenza evangelica.
Inizia così un lungo intervento su vinonuovo il giornalista di Avvenire Roberto Baretta. Un’analisi impietosa delle contraddizioni e “dell’etica utilitaristica” tanto in voga al Vaticano e fra i suoi più accesi sostenitori.
Faccio un esempio, continua Baretta, prendendo una frase che è diventata un luogo comune dell’apologetica (sia detto anche qui senza spregio) catto-berlusconiana:
“È certamente meglio un politico puttaniere ma che faccia buone leggi di un notabile cattolicissimo che poi fa leggi contrarie alla Chiesa”.
La frase di Vittorio Messori, rilasciata in un’intervista al vaticanista de il Giornale, è, secondo Beretta, un sofisma logico e assolutamente “pagano”.
Infatti il paragone pone sulla bilancia due entità: il classico politico “con vizi privati e pubbliche virtù” e quello fariseo, esternamente religioso ma di fatto dannoso sul piano sociale. Non solo la logica cattolica del “fai pure quello che vuoi e poi confessati, Dio ti perdonerà” ma anche l’anteposizione del bene comune “le leggi buone” ad un bene personale “il fatto di essere cattolicissimo”.
Tralasciando il fatto che la confessione è un’ammissione di colpa (e il “puttaniere” non ha mai ammesso niente né chiesto perdono) e che le “leggi favorevoli alla Chiesa” sono fatte dai politici peggiori proprio per comprarne il consenso, Beretta sostiene che seguendo questa impostazione diventano giustificabili anche enunciati quali “è certamente meglio un politico pedofilo ma che faccia buone leggi di un notabile cattolicissimo che poi fa leggi contrarie alla Chiesa”, oppure “è certamente meglio un ateo, un dittatore, un guerrafondaio, forse persino un politico omosessuale, ma che faccia… eccetera eccetera”.
La conclusione di Beretta lascia poco spazio ai sofismi:
Portandolo ai suoi estremi si è svelato il meccanismo logico perverso che presiede al paradosso: non è possibile, o almeno è molto rischioso, prescindere dalle qualità umane di una persona per giudicare i suoi frutti anche pubblici. Detto in parole cristiane: morale personale ed etica pubblica non sono due compartimenti stagni e incomunicanti. E questo mi sembra anche molto “cattolico”.
Essere “puttaniere” non è, non può essere mai – almeno per noi cattolici – solo un fatto “privato”: sottintende ad esempio un disprezzo della dignità della vittima che in un politico è preoccupante anche per la sua attività pubblica. Genera un abuso che potrebbe non essere solo sessuale, ma anche di potere (e dell’idea che se ne ha nell’applicarlo in altri campi). Può condurre a prevaricazioni, menzogne, sotterfugi, privilegi che di fatto intaccano anche la gestione del bene pubblico.
Ma sempre su vinonuovo è Tornielli a replicare a Beretta, con un articolo dal titolo Ciò che sul «bunga bunga» non trovo mai, in cui sostiene che la domanda posta allo scrittore (”C’è chi dice: meglio un politico disordinato nella vita privata ma che fa buone leggi, piuttosto che un politico irreprensibile nel privato che fa leggi contro i “principi non negoziabili”. Che cosa ne pensa?”) non era poi “così tirata per i capelli” come pensa Beretta. Non si trattava infatti di una sua riflessione, ma dell’autorevole ragionamento di mons. Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e già segretario del Pontificio consiglio per la Giustizia e la pace, autore di Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa (Cantagalli).
Nel testo in questione, Crepaldi ricorda che “tra un partito che contemplasse nel suo programma la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e il cui segretario fosse separato dalla moglie e un partito che contemplasse nel programma il riconoscimento delle coppie di fatto e il cui segretario fosse regolarmente sposato, la preferenza andrebbe al primo partito”.
Ancora ieri l’arcivescovo di Trieste, intervistato dal telegiornale regionale, ha ripetuto la sua tesi secondo cui “la coerenza non è un valore per un politico cattolico”.
E’ forse per questo che Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo PDL al Senato, ha consigliato il libro di mons. Crepaldi a tutti i cattolici impegnati nel PDL, compreso lo stesso Berlusconi.

Fonti UAAR e vinonuovo.it

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