L’Irlanda sceglie l’uguaglianza. L’arcivescovo di Dublino: “Rivoluzione”

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Di Massimo Mele il 25 Maggio 2015. 42Commenti

Irlanda_si_matrimoniSvolta storica in Irlanda, terra di antiche radici cattoliche, che oggi è diventato il primo Paese al mondo a introdurre i matrimoni gay tramite un referendum. I voti favorevoli sono stati a livello nazionale il 62,1%, con punte di oltre il 70% nelle città come Dublino, mentre i «no» si sono fermati al 37,9%. È iniziata così la festa nella capitale, con migliaia di persone vestite coi colori arcobaleno che hanno affollato il castello di Dublino.

L’Irlanda è il 22° Paese a riconoscere i matrimoni same sex (dopo Danimarca, Olanda, Belgio, Spagna, Francia, Canada, Sudafrica, Norvegia, Svezia, Slovenia, Portogallo, Inghilterra, Galles, Islanda, Argentina, Uruguay, Nuova Zelanda, Finlandia, Messico, Brasile e Usa, in 38 Stati), e lo fa a soli cinque anni dall’approvazione in Parlamento delle unioni civili per le coppie omosessuali e ad appena 20 dalla depenalizzazione dell’omosessualità.
Se è stato più forte il voto del «sì» nelle città, comunque anche le zone rurali, più tradizionaliste, si sono largamente espresse in favore del cambiamento.
«Sono così orgoglioso di essere irlandese oggi», ha detto il ministro per le Pari opportunità Aodhan O’Riordain, anticipando di fatto l’esito dello spoglio.
Dopo O’Riordain, un altro ministro, Kevin Humphrey, ha spiegato che il 75% di voti favorevoli al matrimonio gay nel suo distretto, il sud-est di Dublino, sono stati l’evidente preludio a una vittoria del “sì”. Michael Martin, leader del partito Fianna Fail, su posizioni cattoliche ma a favore del matrimonio gay, ha parlato di “chiaro successo del sì” basandosi sul 60% di voti favorevoli riscontrati nella sua città, Cork. Mentre è di John Murray, attivista di primo piano e membro del think tank messo in piedi dal cattolico Iona Institute per orchestrare la campagna per il “no”, la prima ammissione della sconfitta. Un altro esponente dello Iona Institute, David Quinn, ha parlato di vittoria “impressionante” del sì: dai primi dati emerge che i voti a favore del matrimonio gay sono “quasi il doppio dei no”. Infine, è stata la volta del premier Enda Kenny, che rompendo l’istituzionale riserbo si è detto “ottimista per la vittoria del sì”, evidenziando poi come “con questo referendum il popolo irlandese sta mandando un messaggio pionieristico”.

“Ora viviamo in un Paese diverso, che fa sentire tutti inclusi”, afferma la gente nelle piazze che a migliaia ha festeggiato la vittoria, soprattutto a Dublino
“Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l’evidenza”. A parlare è l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin. Lui naturalmente ha votato “no” ma afferma di vedere in questo risultato una “rivoluzione sociale“. D’altra parte, ammette lo stesso Martin, “la maggior parte dei giovani che hanno votato “sì” sono il ‘prodotto’ delle nostre scuole cattoliche. Questa è una sfida anche per la Chiesa”. I diritti degli omosessuali vanno quindi rispettati, secondo l’alto prelato, ma “senza cambiare la definizione di matrimonio”.
Per rispondere “sì” si sono compattati diversi percorsi della società irlandese e spesi opinion leader di vario e comunque enorme appeal e carisma, come il “cittadino” Paul David Hewson, per tutti Bono degli U2. La campagna a favore del matrimonio gay ha avuto inoltre il sostegno dei principali partiti politici, con l’eccezione dello scarso impegno di alcuni backbenchers, gli esponenti più conservatori del Fianna Fail e del Fine Gael, espressione delle aree rurali, che hanno preferito non esporsi apertamente per paura di essere puniti alle elezioni politiche del prossimo anno.
Nel Parlamento irlandese sono 4 i deputati gay, su un totale di 166, ovvero il 2,4%, mentre in Italia sono 2 alla Camera, su più di 600 deputati e 1 al Senato su circa 350. Ovvero 3 su un migliaio di eletti, lo 0,4%.
E molti sono i politici italiani intervenuti a commentare la travolgente vittoria dei “si” nella cattolicissima Irlanda. Secondo il ministro dell’Interno, Angelino Alfano (dopo l’umiliazione inflittagli dai TAR sulla impossibilità per il Governo di cancellare le trascrizioni dei matrimoni contratti all’estero), “la nostra posizione è chiara: sì alle unioni civili, sì al riconoscimento dei diritti delle persone con un rafforzamento patrimoniale di questi diritti, no alla equiparazione al matrimonio, no alla reversibilità della pensione, no alle adozioni dei figli”. Mara Carfagna, ospite de “L’Intervista di Maria Latella su SkyTg24 ha affermato che “le coppie omosessuali sono un fenomeno diffuso nella nostra società, all’interno di un vuoto normativo che crea diseguaglianze e confusione. Ho presentato una proposta di legge e ora all’interno del mio partito oggi c’è un atteggiamento di apertura. Bisogna riconoscere diritti e doveri a chi ancora non li ha, non stiamo parlando di togliere diritti a chi già ce li ha”. “Dall’Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l’Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti”, scrive invece la presidente della Camera, Laura Boldrini.
“Il popolo irlandese ha scelto la bellezza dell’uguaglianza” sostiene Flavio Romani, presidente di Arcigay, che però riflette amaramente “salta all’occhio un’altra differenza clamorosa tra Italia e Irlanda cioè quella della qualità delle rispettive classi dirigenti: in Irlanda un premier cattolico praticante, espressione di un partito che in Europa aderisce al fronte popolare, alla vigilia delle urne invitava cittadine e cittadini a votare “Sì”. Uno scenario inimmaginabile in Italia, dove il primo ministro è però espressione del Partito socialista europeo. Solo risolvendo questo paradosso tutto italiano, evidente in questo come in tanti altri ambiti, potremo anche noi aspirare all’uguaglianza, o quantomeno a un dibattito efficace, senza bisogno di sottoporre i diritti al giudizio delle maggioranze “. Anche Giuseppina La Delfa, presidente di Famiglie Arcobaleno, esprime tutta la sua soddisfazione per questa grande vittoria e lancia la sfida al movimento LGBT italiano “in quarant’anni non è stato in grado di opporsi con determinazione a un linguaggio e a posizioni culturali e politiche troppo spesso inaccettabili per pochi benefici e nessuna legge a tutela”. Quindi sprona il movimento ad “un moto d’orgoglio”: “Mi auguro che saremo capaci finalmente di lasciarci dietro vecchie strategie e imboccarne altre, più determinate e più coraggiose”.

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