I gay? Malati e da uccidere con ferocia. Formigoni e la difesa dell’omofobia … anche violenta

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Di Massimo Mele il 23 Marzo 2012. Nessun commento

Ieri sera alla trasmissione di LillY Gruber 8 e 1/2, Formigoni si è lanciato in una dura reprimenda della ormai famosa maglietta “Fornero al cimitero” evocando anche un poco comprensibile richiamo al terrorismo ed alla violenza. Alla domanda su cosa pensasse invece delle infelici dichiarazioni del suo assessore Romano La Russa sui gay malati, Formigoni ha preferito glissare, sostenendo di non aver sentito la trasmissione che, comunque, era una trasmissione divertente e che, dopotutto, ha solo espresso un parere che rientra in una corrente di pensiero ben presente nella società. In passato Formigoni aveva difeso un altro suo membro della Giunta, tal Prosperini, assessore allo sport ed alle politiche giovanili, che dichiarò ad un quotidiano (il Giornale …) «I gay garrotiamoli, ma non con la garrota spagnola, il collare che stringe lentamente la gola. Ma quella indiana, pare degli Apache: cinghia bagnata legata stretta intorno al cranio. Il sole asciuga il laccio umido, il cuoio si ritira, il cervello scoppia». In quella occasione Formigoni rifiuto di “licenziare” Prosperini che fu costretto alle dimissioni qualche anno più tardi da due procedimenti giudiziari e da un arresto per corruzione.
Fa sorridere come per il cattolico Formigoni una maglietta con uno slogan poco felice sia da censurare così come chi si fa fotografare vicino a “tale scempio” (Diliberto) mentre chi inneggia alla violenza ed all’omicidio di persone omosessuali non vada in alcun modo punito ma, anzi, possa continuare indisturbato ad occuparsi di giovani e sport. E’ lo specchio dell’ipocrita morale italiana e dell’omofobia interiorizzata ed esternata senza problemi ma mai riconosciuta come tale. Ma è anche lo specchio di una cultura cattolica che parla di amore e carità cristiana, che difende la vita prima ancora che sia tale, gli embrioni, e dopo che non è più tale, stato vegetativo, ma che è incapace di difendere la vita e la dignità di persone vive e vegete, gli/le omosessuali, che possono essere discriminati, violentati e uccisi senza alcun rimorso di coscienza e senza il timore della punizione divina. Non è forse una bestemmia attribuire a Dio una volontà discriminatoria ed escludente e sostituirsi a lui nella decisione suprema di chi deve vivere e chi no o, più semplicemente di come deve o non deve vivere?

Massimo Mele

Di seguito un articolo di Marco Fraquelli per lettera43.it sulle dichiarazioni di La Russa

Gay-malati? Romano La Russa si studi il nazismo

L’assessore lombardo dimentica gli esperimenti di Vaernet a Buchenwald.

Romano La Russa non si scusa con i gay. Il fratello del più celebre Ignazio, tornando sulla infelice uscita radiofonica dei giorni scorsi – aveva parlato di omosessualità in termini di malattia (guaribile, però!) –  ha dichiarato che la sua non voleva essere un’offesa, ma una semplice tesi.

ILLUSTRI PRECEDENTI. Espressa peraltro, ha sostenuto il 23 marzo Libero, nel solco di altri grandi pensatori, compresi Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Alfred Adler (ma si sono dimenticati Mengele!). E il fatto che si tratti di una tesi controversa non ha scoraggiato l’assessore lombardo. «Anche se so che è una tesi molto, molto contestata e non so se è quella giusta», ha spiegato “popperianamente” La Russa, «non mi va di metterla subito da parte e di non considerarla».

VAERNET E L’EQUAZIONE GAY-MALATO. Potremmo allora dare un aiuto all’assessore regionale a chiarirsi le idee, ricordando un caso esemplare tra i tanti. Quello del medico danese filonazista, Carl Peter Vaernet, tra i più convinti sostenitori dell’equazione omosessualità uguale malattia.

Il laboratorio di Vaernet

GLI ESPERIMENTI SULLE GALLINE. Negli Anni 30, Vaernet, endocrinologo, si trasferì in Germania, dove iniziò a collaborare con il conterraneo Knud Sand, deciso sostenitore della castrazione degli omosessuali. Vaernet e Sand iniziarono una sperimentazione parallela su alcuni animali (gatti e galline, per la precisione), nella convinzione che attraverso il trapianto di testicoli sani su soggetti «malati», cioè omosessuali, si sarebbe potuto ricondurre questi ultimi alla normalità.
Rientrato in Danimarca, riprese gli esperimenti. In particolare, sul testosterone. Cosa che gli diede molta fama: i giornali lo dipingevano come una specie di genio della scienza, sostenendo persino che grazie alla sua cura «con il testosterone le galline arrivavano a emettere versi come i galli».

DAGLI ANIMALI ALLE CAVIE UMANE. Nel frattempo, lo “scienziato” era passato a compiere i suoi esperimenti su cavie umane. Convinto che la causa dell’omosessualità fosse un deficit ormonale, decise di impiantare del testosterone nell’inguine di un insegnante omosessuale, ottenendo un «buon risultato», tanto che, poco dopo, l’insegnante – come riportarono con grande enfasi i giornali dell’epoca – si sposò.

HIMMLER E LA DEUTSCHE HEILMITTEL. Vaernet decise quindi di brevettare la sua invenzione, sia in Danimarca sia in Germania. Affascinato dalle ricerche di Vaernet, il notoriamente omofobo Himmler propose allora al medico danese un contratto di lavoro con la Deutsche Heilmittel Gmbh, l’azienda di proprietà delle Ss dedicata alla ricerca medica.
Vaernet firmò il contratto di collaborazione nel novembre 1943, e dopo solo un mese venne promosso Ss-Sturmbannführer, cioè maggiore, e trasferito a Praga da cui poteva facilmente raggiungere il campo di Buchenwald, dove selezionare le cavie migliori per i suoi esperimenti.

IL LABORATORIO DI BUCHENWALD. Tra il settembre 1944 e il dicembre dello stesso anno, il medico danese effettuò esperimenti su una cinquantina di internati omosessuali. Risultato: tutti i soggetti sottoposti all’impianto di testosterone morirono, chi durante l’intervento, chi poco dopo, tranne uno (che morì di vecchiaia, omosessuale).
Rientrato in Danimarca nel 1945, dopo la liberazione da parte delle forze alleate, Vaernet venne internato nel campo di Alsgade Skole, nei pressi di Copenhagen, e giudicato dagli inglesi come criminale di guerra.

L’INTERESSE DI DANESI E BRITANNICI. Ma incredibilmente, anche in quel frangente, riuscì a diffondere alle autorità danesi e britanniche le sue teorie ormonali per la cura dell’omosessualità (sembra addirittura che mentre era ancora prigioniero, Vaernet fosse stato contattato dalla casa farmaceutica anglo-americana Parke, Davis & Comp. Ltd., e persino dal colosso chimico americano Dupont, interessati ad acquistare i suoi brevetti).

LA FUGA IN ARGENTINA. Con la complicità dell’organizzazione Odessa, Vaernet riuscì a fuggire in Argentina dove, dopo aver semplicemente cambiato il nome da Carl a Carlos, aveva aperto uno studio medico, collaborando con le autorità su alcuni progetti relativi alla cura dell’omosessualità.

IL FIGLIO KJELD E LA LOBOTOMIA. Vaernet morì impunito, di malattia, nel novembre 1965. Ma la sua opera venne proseguita dal figlio maggiore Kjeld, neurochirurgo, che collaborò, sin dagli Anni 50, con Walter Jackson Freeman, fisico americano e grande teorico della lobotomia.
Con Freeman sperimentò una serie di cure ormonali per guarire l’omosessualità, arrivando anche a sostenere la possibilità, appunto, di lobotomizzazione dei «malati» omosessuali.
Ecco, documentandosi su casi come questi, l’assessore potrebbe magari farsi un’idea più precisa sulla questione.

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