I gay ed il “lusso” di donare sangue

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Di Massimo Mele il 5 Novembre 2011. Nessun commento

Fu voluta nel 1991 dall’allora Ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, una norma che di fatto proibiva ai gay maschi di donare il sangue. Negli anni’80, quando il virus dell’HIV non si conosceva bene, la popolazione omosessuale maschile ne era la più colpita.

Non c’è dubbio alcuno, oggi, che ad essere a rischio non sia una categoria piuttosto che un’altra, ma dei comportamenti sessuali rispetto ad altri: i rapporti non protetti, appunto.   Si infettano molto spesso gli eterosessuali, che poco e malvolentieri utilizzano il profilattico, forse in alcuni casi ancora convinti che l’AIDS sia “una cosa da gay”

Anni dopo divenne Ministro della Sanità Umberto Veronesi, ben informato sull’erroneo criterio scelto per giudicare l’attendibilità del donatore di sangue, e dispose un nuovo decreto sulle donazioni, attualmente ancora in vigore dal 26 gennaio 2001.

Punto fondamentale è la sensibilizzazione e l’informazione del candidato donatore attraverso il consenso informato, compilazione di un questionario, l’anamnesi, l’esame obiettivo, l’accertamento dei requisiti fisici e le indagini per la validazione biologica delle donazioni, le informazioni sul rischio che malattie infettive possano essere trasmesse attraverso il sangue e i suoi prodotti, il significato delle espressioni: “autoesclusione”, “esclusione temporanea” o “permanente”; inoltre le ragioni per cui non devono donare sangue coloro ai quali la donazione potrebbe provocare effetti negativi sulla propria salute ed infine, ma non meno importanti, i motivi per cui non devono donare sangue coloro che così facendo metterebbero a rischio la salute dei riceventi la donazione, come il caso di coloro che hanno avuto negli ultimi mesi comportamenti sessuali ad alto rischio di trasmissione di malattie infettive o sono tossicodipendenti, fanno uso non prescritto di sostanze farmacologiche, compresi steroidi oppure ormoni a scopo di culturismo, per via intramuscolare/endovenosa o tramite altri strumenti in grado di trasmettere gravi malattie infettive.

Ovviamente tutto questo a prescindere dal proprio orientamento sessuale.

Eppure alcune strutture in Italia utilizzano ancora vecchi questionari e si permettono di scartare candidati maschi dichiaratamente gay, giustificandosi poi -se questo viene contestato- come se il loro fosse stato semplicemente un eccesso di zelo e non una chiara e semplice discriminazione.

Proprio a fine Ottobre 2011, all’Umberto I di Roma, è stata negata la possibilità di donare il sangue ad una 39enne lesbica, convivente e monogama da tempo. Questo può far pensare che il comportamento pregiudizievole si sia esteso a tutti gli omosessuali, anche se nei rapporti saffici oltretutto è bassissimo il rischio di trasmissione del virus, altrimenti è aperta l’ipotesi che il medico abbia rifiutato la donazione poiché ha individuato una qualche altra ragione medica. La signora sostiene tuttavia di non essere stata accolta come donatrice perché “considerato a rischio il suo rapporto sentimentale” per definizione e di conseguenza l’Arcigay di Roma sta cercando di far luce sull’episodio.

Per informazioni sui diritti civili della popolazione lesbica-gay-bisessuale e transessuale italiana, vi invitiamo a far riferimento alla Rete Lenford -Avvocatura per i diritti LGBT- all’indirizzo:

www.retelenford.it

Fonte L’Espresso

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