Donne discriminate a partire dal linguaggio

Home » Editoriali » Donne discriminate a partire dal linguaggio

Di Massimo Mele il 2 Novembre 2010. Nessun commento

Shirin Ebadi, prima donna magistrato dell'Iran

di Giuliana Mura, Cancelliere, Coordinamento Giuridico Bobbio, 2 Novembre 2010

Il ministro, il giudice: per le posizioni apicali il maschile è quasi un obbligo


Valore del linguaggio e pari opportunità. La differenza è socialmente significante ed il linguaggio è l’espressione che esclude o analoga. La necessità di ribadire la difesa della specificità femminile nelle opportunità esprime il valore vissuto come stridente diversità. Le donne si trovano nella contraddizione di vivere l’emancipazione imperfetta nella immaturità del Paese. La inadeguata interiorizzazione di valori si esprime nella lingua italiana. Per le posizioni apicali il sostantivo maschile è quasi d’obbligo: il prefetto, il giudice, il ministro. Il simbolo della differenza naturale, il linguaggio non neutro esprime una identità delineata. L’ascesa delle donne palesa la discriminazione tra la definizione delle norme ed il loro riconoscimento. E’ nella valutazione dell’operato femminile, nell’aggettivo, che si riscontra la schiettezza che supera l’ipocrisia della forma. Nello stereotipo del senso comune la negatività dell’attività maschile è accompagnata da termini collegati alla produttività e raziocinio: “incompetente, incapace”.
Se riferiti alla donna si aggiungono elementi collegati all’umoralità ed emotività. Come se nell’essere femmineo la componente limbica si fosse fermata all’era antecedente l’homo sapiens. La differenza vissuta come disvalore è strumentalizzata per mortificare le competenze ed il ruolo nella donna che ricopre posizioni importanti. Tali meccanismi sono presenti anche in partiti che dovrebbero avere una funzione innovatrice dei ruoli. La composizione maschile della Giunta non è che uno degli esempi di resistenza al cambiamento dei modelli tradizionali che provengono dal mondo maschile ma dove si immedesimano stereotipi femminili. La scommessa della parità deve essere intesa come sfida culturale globale in un periodo di regressionenella tutela didiritti che vede accanto alle donne i soggetti individuati dagli artt. 3,37 e altri della Costituzione: immigrati, omosessuali, professanti diversa fede, non abbienti. Il linguaggio discriminatorio è un simbolo, chiave universale del disvalore sotteso. Sono esempio i delitti in ascesa nel nostro Paese che vedono vittime donne, minori, amministratori, individui della società civile che si ribellano in paesi del sud poveri in ogni senso o controllati da criminalità che usa strategie di stile mafioso. La Sardegna conferma la media nazionale. Il legame che esprime il valore negativo dell’essere umano tra due realtà, individuale e collettiva, che paiono lontane non è fortuito e va visto sotto l’aspetto del controllo della destabilizzazione in assenza di parte di Stato e vita politica. Con solitudine di coloro che subiscono prima della violenza fisica l’omertà, l’interiorizzazione dell’abuso del potere.
Si è ancora al «coro di vibrante protesta» da «Domenica delle Salme» di De André da parte di piani verticali, maggioranza di partiti e istituzioni. Intanto di violenza, destabilizzazione, solitudine si muore nell’Italia unita ed anche nell’Isola. Negli incontri nelle scuole, nel programma di educazione alla legalità il disvalore della violenza convogliata da un certo potere viene spesso discusso con i ragazzi, il significato legato all’idioma in un periodo di massima incomunicabilità ed equivocità. Le domande che gli studenti rivolgono donano la speranza che i futuri adulti possano lasciare migliore eredità ai figli qualsiasi razza, condizione e sesso appartengano.

Pubblica un commento